mercoledì 21 marzo 2007

La lingua per Auschwitz


Mi chiedo come mettere in parole quel dolore vivido che ti pietrifica, che ti attraversa da parte a parte, che ti inchioda a quel percorso di morte. Si respira la morte, ma non si possiede una lingua che possa tradurla, trasmetterla, narrarla. “I limiti del linguaggio sono i limiti del mio mondo”, scriveva Wittgenstein. Forse è per questo che faccio molta fatica a trovare un segno per quelle sensazioni, che oltrepassano l’umana comprensione, il comune sentire, il razionale tentativo di comprenderle. Popolare quelle gelide stanze, resuscitare quei binari morti, immaginare dei corpi per quegli oggetti fossilizzati a nostra memoria. Confrontarsi con un passato che ti squadra da ogni lato, calpestandoti ad ogni tuo passo, scoprire una ferita perenne, una piaga purulenta nel cuore dell’Europa, nel corpo di un’umanità offesa. Sono contenta di aver portato i miei ragazzi in questo luogo dimenticato da Dio e sono anche fiera del loro modo sincero di esprimere insopprimibili emozioni. Le mie sono ancora molto trattenute, irrigidite ed incapaci di proiettarsi in uno scritto; ma forse è un limite della scrittura e del linguaggio, non del cuore.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Cara Barbara, sono contenta di ritrovarti su queste pagine. Ogni volta che ti assenti per un po', confesso, mi preoccupo.
Un abbraccio

P.S.: rileggi il commento che hanno fatto su Orbetello e Londra. Sono d'accordo; cerca di spogliartene pian piano, custodiscine il tesoro. Ci saranno mille altre Londra nella tua vita, forse di nuovo anche l'originale, ma non sentire quel momento come l'unica possibilità, l'unica occasione di libertà della tua vita. Non è così.

Anonimo ha detto...

rileggo questo tuo ultimo post per la terza volta, perchè ogni volta le tue parole sono emozioni che smuovono qualcosa dentro e per quanto facciano star bene o male, ti fanno sentire il sangue scorrere per tutto il corpo, certo...è proprio il compito del sangue questo...ma quando leggo te mi accorgo che lo svolge appieno e mi sento vivo e felice di essere tale.
grazie per quello che riesci a farmi passare...


è la terza volta che lo leggo ma stavolta ho sentito il desiderio di scrivere, di scrivere che un dolore
così grande come quello che hai visto e vissuto ad auschwitz, forse mai nessuna persona, per quanto virtuoso in campo letterario, con i limiti imposti dal linguaggio riuscirà a descriverlo, sò dirti per certo però, cara esploratrice e fedele reporter di questo nostro mondo, che le tue parole ce l'hanno fatta...in me hanno fatto rivivere la mia visita anni e anni or sono in questo luogo di mille e più orrori, è stato angosciante davvero ritornare indietro ma è stato lo stupendo potere del tuo linguaggio a donarmi tutto ciò...
(lo stesso anonimo di Orbetello = Londra= tutto il tuo mondo)

Anonimo ha detto...

Non sai quanto condivido i tuoi sentimenti, che sono stati anche i miei quando dieci anni fa ho visitato il campo di Auschwitz e quello di Birkenau. E ti confesso che a distanza di tanto tempo ancora provo quelle sensazioni, quel vuoto, quella tristezza che ti attanaglia il cuore.
Francy

Gian Maria Turi ha detto...

Provare a pensare dal di dietro: non esiste un luogo dimenticato da Dio.
Come la mettiamo adesso?