sabato 18 aprile 2009

Il prezzo dell'adultità

Inconsapevolmente immersa, per tanti, troppi anni, nel mare in tempesta dell'adolescenza, approdo sulla riva dell'adultità e mi sento totalmente sperduta, incapace a perlustrare il territorio sconosciuto su cui mi sembra di essere sbarcata dopo tante fatiche. Penso ad Aristotele e al suo naufrago che si trova costretto ad abbandonare il carico, per quanto prezioso, pur di sopravvivere alla tempesta e pur di giungere, sano e salvo, alla riva, assaporando, nel tempo stesso, l'entusiasmo della salvezza e l'angoscia della perdita.
Ho perso il carico dei miei sogni in questa traversata, lasciando in balia dei flutti immagini, proiezioni, sogni, desideri, figure indistinte e illanguidite di persone, amate per un tempo idenfinito, messe a fuoco sotto la lente dissacrante dell'autenticità. Mi guardo indietro e vedo il bozzolo che ho lasciato per diventare farfalla, e mi osservo, con queste ali ancora bagnate in un procedere incerto, in questo vollo goffo e traballante, verso una dimensione del mio essere tanto desiderata ma con cui stento a prendere confidenza. Guardandomi indietro vedo un rosario di sogni interrotti, provo a dirigere la vista in avanti, verso un futuro opaco e indefinito e vedo una Barbara sconosciuta, mai pensata, mai immaginata ma che devo abituarmi a conoscere, perchè è lei, e lei sola, la protagonista del viaggio.

venerdì 10 aprile 2009

Siamo tutti abruzzesi



Sono tornata dalla Grecia e, dopo giorni di allegria e spensieratezza, torno a confrontarmi da vicino con il lutto profondo e intenso per la morte di mia madre. Saluto questo rientro a casa con gli odiosi fogli della successione, in quell'ufficio che l'ha ospitata per anni e in cui era solita darmi la benvenuta dietro quella scrivania con quell'espressione indimenticabile. Qualcuno mi saluta riconoscendo nelle mie espressioni i suoi sorrisi, rintracciando nei miei lineamenti il segno indelebile di un'appartenenza, di una genealogia incancellabile e la cosa mi riempie di gioia, quella della fierezza di portare sul mio volto i suoi segni, di incorniciare nel mio viso il suo splendido sorriso. Mi lascio sopraffare da una naturale commozione, tra quei volti amici che, affettuosamente, mi vengono incontro come a voler salutare, in me, lei, lei che ha lasciato, fin dal trauma della nascita, la narrazione di un legame che nessuna vecchiaia e nessuna ruga riusciranno a cancellare e che chiunque l'abbia conosciuta, nonché io stessa, riconoscerà fino all'ultimo dei miei giorni.
Arrivata a casa mi immergo nel dolore abruzzese, che oggi è davvero quello di tutti e scorgo nei segni del lutto degli altri quelli del mio. Vorrei fare come mio padre, che ha deciso di spegnere la televisione perchè incapace a vedere altre lacrime, perchè il dolore altrui non fa che esasperare il proprio. Io scelgo invece nel silenzio della condivisione il tentativo di superare il mio strazio, credo che la capacità empatica di simpatizzare con il lutto altrui sia uno sbriciolare la sofferenza e non riesco, in questo momento, a non sentirmi coinquilina con quell'autentica disperazione. Nel silenzio delle mie stanze, accompagnata dalle immagini di quelle duecentocinque bare che avanzano sullo schermo, rimastico un dolore freschissimo, ritorno alla sorgente del mio pianto e mi ribello a tutta questa afflizione, tacendo, come soffocata da una condanna, quella dell'incomprensione e dell'incapacità di scorgere la mano di Dio che ti afferra e ti libera da tutta questa sofferenza. Il mio silenzio è un silenzio che non ha risposta, il mio urlo di dolore non accoglie nessun eco divino, il Giobbe della mia anima impreca contro la terra che si apre sotto i nostri passi e cerca solo negli uomini il riparo al suo tormento. Penso a questo terremoto, penso alle parole di cordoglio e solidarietà che in quella birreria, in un inglese ostentato, quel barista ateniese ci ha rivolto con le lacrime agli occhi, penso alle madri che piangono i figli e ai figli che piangono le madri e resto in attesa che il silenzio della mia anima si squarci e il suo spazio si illumini di nuova luce. Mi lascio all'ascolto di una scrittura umana, sebbene laicamente attraversata dal divino, e sprofondo nelle pagine di Erri de Luca, sempre così presenti e illuminanti.

“Nessuna generazione del Mediterraneo è rimasta priva dell'esperienza di un terremoto. Perfino Nerone, dilettante in poesia, tentò di descriverlo in un gesto non del tutto goffo: sub terris tonuisse putes, sotto le terre crederesti che stesse tuonando. Più si è meridionali e più si è ballata la tarantella del sottosuolo. [...] Così c'ero anch'io quella domenica d'autunno del 1980, quando il golfo si mise a vibrare all'unisono e in molti ci affrettammo giù per le scale. Durò più di un minuto la scossa. Durante quel tempo ognuno provò la vertigine di una perdita di equilibrio, un bisogno di reggersi per non cadere, un'ubriacatura da sobri. Le scritture sacre conoscono i terremoti. Come al solito, decisivo è Isaia, il più grande poeta sismico del Mediterraneo che insieme al senso cerca di afferrare il suono: raà hitroaà (schiantare si è schiantata) la terra, por hitporerà (rompere si è rotta), mot hitmotetà (barcollare ha barcollato) e poi: 'vacillare, vacillerà terra come un ubriaco' (24, 19-20). Ecco: non noi, pulci del suolo, eravamo ubriachi, ma la terra, per chissà quale vino bollente tracannato per collera” (Erri de Luca, Alzaia).

martedì 7 aprile 2009

Notizie dalla Grecia

Appena rientrata in albergo, assaporo le emozioni di questa nuova giornata in gita scolastica. Lascio decantare le plurali sensazioni di oggi, le arrabbiature, vere o presunte, le risate, l'affetto, davvero rafforzato in questi giorni di Grecia, per i miei studenti. La titubanza della vigilia si e' trasformata, in poche ore, nel piacere forte e stabile di aver accompagnato le mie classi in questo viaggio e nella sorpresa di aver riconosciuto, nei miei studenti, dei ragazzi sinceri, istintivi, pieni di energia e di sventatezza, ma anche illuminati da una pallida adultita' che si sta facendo strada nei loro giovani anni. Nella mente un continuo rimbombare di frasi, un frastuono di risate, una ragnatela di sensazioni, un innato indietreggiare alle mie giornate di scuola. Stasera un pensiero va a chi abbiamo lasciato sulla laguna e anche alla giornata di domani. Ci aspettano sei noise ore di pulmann per Delfi. A parte l'emozione, tutta filosofica, di visitare il luogo dell'oracolo che defini' Socrate "l'uomo piu' sapiente", spero che non ci siano solo sassi, anche perche' temo che i miei studenti sviluppino presto un insano istinto alla lapidazione....Ci sentiamo al mio ritorno.