venerdì 30 novembre 2007

Latte e Marie

Giornate di latte e Marie. Ci sono sapori che racchiudono un mondo, un periodo, che ti concedono una piacevole inversione, che permettono incantevoli apparizioni. Nei pochi minuti di calma che mi concedono queste giornate mi regalo una regressione, mi dedico un ritorno all’infanzia, che, adesso, non sono altro che un marcato ritorno al materno. Così mi sono tolta una “voglia” e mi sono comprata un pacco enorme di biscotti e la sera, quando torno stanca dall’ospedale, e non ho nessuna voglia di cucinare, mi sfamo a caffellatte e Marie spezzettate che richiamano alla mia mente ricordi che oggi mi proteggono e mi scaldano un po’. Come stasera, in queste stanze della casa che ha ospitato i miei primi passi, i miei pomeriggi di studio, il mio amore di adolescente e che stasera mi parlano così tanto di noi tre. Così mi sono messa accovacciata al tavolino del salotto, come da piccola, quando accompagnavo i pochi bocconi alle immagini dei miei cartoni ed ho respirato ricordi. Che strano abitare questa casa da sola, inalarne le memorie, percorrere con lo sguardo ogni centimetro di questo spazio che adesso mi sembra così vuoto, nonostante le voci che mi affollano i pensieri e Bube che continua ad abbaiare, mannaggia a lui, è quasi mezzanotte.
Ascolto Galimberti che parla di Nietzsche su La7 e aspetto che arrivi il sonno a portarsi via questa giornata che, nonostante difficile da gestire e digerire, avrei voluto non finisse mai…come domani.

domenica 25 novembre 2007

Yves Bonnefoy

Di nuovo una domenica orbetellana. Mi sono concessa una lunga passeggiata lungo lago, nonostante il grigiore che scandisce queste ore di festa. Adesso mi immergo in caldi versi di poesia, in cerca di parole che vadano a stanare il mio io nei recessi più nascosti....
Tra i versi che amo, oggi scelgo quelli in francese di Yven Bonnefoy...

Tutto ciò, amico mio,
Vivere, che annoda
Ieri, nostra illusione,
A domani, nostre ombre
Tutto ciò, e che fu
Così nostro, ma
Non è questo cavo delle mani
In cui acqua non resta.
Tutto ciò? E la più
Nostra felicità:
il volo greve dell'upupa
Nel cavo delle pietre.

Yves Bonnefoy, Una voce

venerdì 23 novembre 2007

A new heaven, a new earth


"Dovremmo trovare un nuovo cielo, una nuova terra", Shakespeare faceva dire ad Antonio, rivolto alla sua amata "zingara". E’ l’infatuazione improvvisa, la follia amorosa che subentra all’incrocio di sguardi che impone ad Antonio di immaginare "a new heaven and a new earth", per non imprigionare nel cielo delle stelle fisse il suo amore incommensurabile. Di questo ho parlato ieri ai miei studenti, che mi guardavano allibiti e curiosi, di fronte ad una lezione così inusuale. "A new heaven and a new earth": adesso sono io che devo trovarli. Un nuovo cielo verso cui dirigere i miei sguardi, che mi apra il varco dell’impensato, nel quale possa rintracciare paesaggi inesplorati, verso cui rivolgere mute preghiere. Un nuovo cielo che possa accogliere la Speranza, quella a cui io continuo a non credere, ad oppormi con la forza del mio pensiero positivo e razionale, che chiude ancora oggi la porta in faccia al divino. Una nuova terra da cui sia bandita tutta questa amarezza, che adesso sto attraversando, cercando di non rimanere impaludata nelle sabbie mobili dell’insicurezza e della paura. Una nuova terra in cui possa dirigere con più certezza i miei passi, una nuova terra dove mia madre possa camminare sicura, senza questa angoscia del futuro che tutti ci soffoca e tormenta. Una terra dove ci sia un posticino anche per me, meno labile, meno insicuro, una casa che mi scaldi le sere insonni e che mi accolga, insieme alla mia piccola Bice che la vecchiaia ha reso così affettuosa (e sembra anche sempre più affamata….). Mi chiedo se ci sia da qualche parte questo posto, mi chiedo se sia davvero possibile per la Barbara di adesso porre un confine, darmi almeno un argine, per non avere l’idea di una caduta in picchiata o di un vagare incerto, senza meta. Mi chiedo se non debba davvero condannarmi a questo mio eterno nomadismo, fisico e mentale, che mi rende apolide ovunque mi trovi. Eppure in quella città, così straniera, così diversa, così "altra", così immensa da essere il simbolo fisico del mio spaesamento, avevo davvero messo delle radici. Mi dicevo che mi ero piantata su quella collina di Hampstead ed ancora oggi penso che un po’ di radici siano rimaste a marcire là sotto, nonostante io abbia cercato di estirparle con tutta la forza possibile, quella che mi aveva dato l’incommensurabile amore che provo per mia madre. Sono tante le domande di queste sere solitarie: mi chiedo se davvero la vita che io sto vivendo non sia stata scritta da altri, da tutti coloro che hanno reciso ogni mio ancoraggio e mi chiedo se, alla fine, io abbia davvero la voglia di fermarmi o preferisca continuare a vagare. Dove? Sinceramente non so. Per ora me ne vado a Firenze, parto fra poche ore e torno domani. Vado a fare il pieno di città e di ricordi…senza la "bestia" però….

mercoledì 21 novembre 2007

La faccia come 'r culo


Pochi giorni fa spiegavo ai ragazzi dell'ultimo anno come in Italia sia stato difficile costruire un sentimento nazionale e come la mancanza di una lingua comune abbia rappresentato un ostacolo oggettivo alla realizzazione di questo obiettivo. Spiegando loro "l'Italia dei cento dialetti", come la chiama la Colarizi, li facevo riflettere sul fatto che l'italiano era la lingua colta, la lingua dei libri, quella parlata in pubblico ma poco utilizzata in privato. In casa si indulgeva in espressioni dialettali e la stessa famiglia reale, non dimentica delle sue origini savoiarde, usava il francese per comunicare tra le "mura domestiche". "Come prof. il re d'Italia che parlava in francese in casa sua?", eccola la domanda ovvia e scontata. Ebbene sì, parlava in francese, spessissimo. Quindi stasera, alla notizia, mi chiedo se mi devo rivolgere ai Savoia, purtroppo di nuovo sul suolo patrio, in francese, oppure se è sufficiente dare una leggera inflessione regale al suono delle mie parole, per avvicinarmi un po' alla classe di quell'imbalsamato di Emanuele Filiberto. Poi ho pensato: ma sai che c'è....io gli parlo in livornese, livornese che trovo, tra tutte le varie modulazioni del toscano, la più bella, la più spontanea, quella che meglio fa percepire la nostra solarità, schiettezza, genuinità. Si racconta che casa Savoia abbia richiesto allo Stato italiano un risarcimento di non so quanti milioni di euro per aver violato, imponendo loro un esilio forzato, i fondamentali diritti umani. Devo aggiungere altro? Cosa dovrei dire ai nostri ex reali? Boia de' c'avete proprio la faccia come 'r culo!!!

martedì 20 novembre 2007

Mi sento come compressa, piena di sentimenti strizzati. Vorri poter deflagrare e prendere respiro, ma non riesco a far altro che scegliere un infantile mutismo. Non so perchè ma le parole, in questi giorni, restano come attaccate l'una sull'altra, incapaci di districarsi, prendere aria e corpo. E poi le parole di questi giorni sono tutto e il contario di tutto e non fanno altro che annullarsi a vicenda, lasciando un vuoto assoluto. Ma forse è solo per questo che non riescono a trovare una cassa armonica dove acquistare risonanza. E non la trovano neppure a scuola: oggi non mi sono proprio piaciuta, nonostante tutto il mio studio. Per fortuna quella classe insopportabile domani parte per la gita e io respiro senza di loro almeno per una settimana.

giovedì 15 novembre 2007

Rifugio

Si sta avvicinando un nuovo weekend, spero più sereno di quello appena trascorso. Domenica passata a sfogliare pagine, correggere compiti, godermi qualche ora di riposo. Sono sempre qui, in questa nuova casa, diventata così accogliente nonostante gli innumerevoli difetti e mancanze. Vado a Follonica, faccio il pieno di baci e abbracci, respiro l'odore di mare a pieni polmoni, consumo i miei sguardi a fissare i suoi occhi, le sue mani, le sue spalle e le sue gambe sempre più magre e poi, anche di fronte ad un suo invito a rimanere, preferisco la fuga. Questa casa sulla laguna è una stampella a tutte le mie paure, aiuta a sorreggermi, a non rovinare a terra schiacciata da tutte le mie ansie e le mie insicurezze. E così queste stanze esorcizzano i miei timori e i miei libri mi permettono di immergermi in un pensiero avvolgente e totalizzante, che lascia spazio a poco altro. Cerco di tenere lontana da me la domanda sul quando e come sarà. Ormai, almeno per me, non si tratta più di confrontarsi con un'ipotesi, ma con una certezza che è sì procrastinabile, ma del tutto ineluttabile. Allora, di fronte al pensiero della sua morte, vorrei tornare, immergermi in lei, tuffarmi nelle sue parole, farmi scuotere dai suoi abbracci. E invece torno e resto qui, in cerca di una calda protezione, sforzandomi di tenere la mente occupata, rifiutando si sfidare la morte e la vita, che così mi interpellano in questi ultimi giorni. Divertissment, direbbe un filosofo che ho molto amato all'età dei miei ragazzi. "Quando non si trova uan risposta alla morte - scriveva - è preferibile fuggirla". E io ci provo a fuggirla, ma lei mi rincorre e, come si dice in Maremma, "va pure come 'na scheggia".

venerdì 9 novembre 2007

La costanza della ragione

Mi dedico alla lettura di un bel romanzo di Pratolini, "La costanza della ragione", dando alle sue pagine la possibilità di ridestare in me le sensazioni legate a una città tanto amata. Ecco che le singole righe su cui corre il mio sguardo in attesa del sonno pizzicano le corde emotive che mi fanno sentire ancora tremendamente legata a quei luoghi. E così la Firenze di Bruno, quella del dopoguerra e della ricostruzione, diventa la mia ed è come se ne ripercorressi le strade e ne respirassi un po' il sapore. Firenze è di nuovo mia nella purezza del ricordo, un ricordo finalmente depurato di tutta la sofferenza legata a quelle stanze umide e fredde del Dipartimento. Finalmente liberata dalla Sua invadenza, dalla Sua "bestiale" presenza, adesso mi godo i ricordi della mia città. Così, mentre leggo Bruno sulla sua bicicletta attarversare il Mugnone e pedalare spedito verso P.zza Dalmazia, mi vedo sul mio Liberty inforcare Via Mercati, percorrerla tutta in salita e svoltare in quella via alberata su cui si affacciava la nostra piccola stanza. Una stanza amata-odiata, ma calpestata con l'etusiasmo dei vent'anni e con la cieca fiducia nel domani. E ripercorro con i pensieri le stanze di quella città: da quelle offertemi in San Frediano l'anno della tesi di laurea, a Via Talenti, a Gavinana, fino a quelle stanze calde e accoglienti del mio nido a Coverciano, oggi scaldate da un'amichevole presenza.
Mi manca Firenze, mi mancano le mie città. Mi mancano i rumori assordanti che allora erano così insopportabili, ma che ora vorrei davvero resuscitare per aprire una breccia in questo silenzio ovattato di provincia....silenzio che è della mia laguna, ma anche del mio cuore.

"Perchè a vent'anni è tutto ancora intero,
perchè a vent'anni è tutto chi lo sa,
a vent'anni si è stupidi davvero
quante balle si ha in testa a quell'età...."
Francesco Guccini, Eskimo