martedì 29 novembre 2011

Le donne normali e il DSM-IV

Bafisia mi consiglia spesso dei bei libri. “Venuto al mondo” di Margaret Mazzantini è stato, senza dubbio, il consiglio più prezioso. Ancora faccio fatica a prendere in mano un nuovo romanzo, tanto mi sono sentita svuotata da quella lettura. Per controbilanciare il peso del suo ultimo suggerimento, ora consiglia “Elogio di una donna normale” di Irene Bernardini, una psicologa che si occupa da anni di conflittualità familiare e, visto che noi donne ci accomodiamo più degli uomini sul lettino dello psicanalista, il suo ultimo saggio è un libro per e sulle donne. Chissà se Bafisia me lo ha consigliato perché spera che io, dopo questa lettura, diventi un po’ più normale di quello che sono. Alcune parti mi convincono, altre un po’ meno. Ma ieri sera mi sono soffermata sulle pagine dedicate a Narciso e sul suo prendere un po’ la mano con molti di noi. Così l’autrice ci presenta, netti, chiari e senza pericolo di fraintendimento, quelli che sono i sintomi della personalità narcisistica individuati dal DSM-IV (il manuale diagnostico più usato, redatto e continuamente aggiornato dell’American Psychiatric Association):

1. Senso grandioso del sé, ovvero senso esagerato della propria importanza;

2. E’ occupato/a da fantasie di successo illimitato, di potere, effetto sugli altri, bellezza, o di amore ideale.

3. Crede di essere “speciale” e unico/a e di poter essere capito/a solo da persone speciali; o è eccessivamente preoccupato di riservare vicinanza/essere associato a persone di status (in qualche ambito) molto alto.

4. Desidera o richiede un’ammirazione eccessiva rispetto al normale o al reale suo valore.

5. Ha un forte sentimento di propri diritti e facoltà, è irrealisticamente convinto che altri individui/situazioni debbano soddisfare le sue aspettative.

Poi ce ne sono altri, nei quali non mi sono affatto riconosciuta (ad esempio la carenza di empatia, la tendenza a ricevere più di quello che dà! No, questi non sono proprio miei!!!!). Oh che sollievo, provo leggendo la fine della lista. La deriva narcisistica non è la causa del mio sentirmi estranea, del mio abitare il margine, del mio non respirare l’aria di tutti. Ma poi arriva dritta la stangata!!! Scrive la Bernardini: “Il DSM, fra l’altro, dice che in presenza di almeno cinque di quei sintomi la malattia è conclamata”. Appunto, cinque, non ce n’è bisogno di uno di più. Il mio è stupore misto a sgomento, è vergogna. Qua bisogna approfondire. Perché può darsi che il problema vero, quello che causa tutto questo malessere e questo dolore, non siano gli altri, ma sia io stessa. Ma poi mi assolvo, li rileggo e penso a quanto sia impaurita alla stesura di questa guida e al terrore di fronte ad ogni nuova prova, ad ogni sfida inattesa. Poi, ancora una volta, mi accorgo che cerco risposte nei libri invece che in me stessa e che Narciso non ha davvero mai abitato le mie stanze. Forse non mi devo chiedere che cosa è Barbara, devo smetterla di classificare i miei pregi e i miei innumerevoli difetti, devo solo capire che cosa desidero per questa vita, che è la sola e non ci sarà un secondo tentativo di fare le scelte giuste. E siccome mi sono quasi convinta, quasi per scaramanzia, che non sarà nemmeno tanto lunga, sarà bene che mi affretti ad imboccare la strada giusta. Non dico per camminare sempre in discesa, ma nemmeno sempre con il bastone.

lunedì 28 novembre 2011

Socrate, Henry Miller e Feltrinelli store

Torno sempre da Roma piena di libri. Scherzo sempre sulla mia mania di svaligiare le librerie, sulla mia incapacità, inevitabile e quasi scontata, di leggere tutto quello che compro e sui sensi di colpa che poi mi affliggono per non riuscire a rispettare gli impegni che ho preso con me stessa. A volte per fare un po’ di ironia sui miei difetti dico che dentro il mio cervello qualcuno ha installato un “Feltrinelli radar” ad alta definizione, che mi permette di scovare una libreria in qualsiasi città mi trovi, anche la più sconosciuta. A Roma, adoro la Feltrinelli di Torre Argentina: ampia, luminosa, accogliente. Ma, dopo i nuovi lavori di restauro, adesso sul podio delle mie preferenze è arrivata anche quella vicino a Piazza della Repubblica, che non solo ha la stessa quantità di testi, sempre disposti in un ordine maniacale, ma anche degli spazi per i lettori, piccole scrivanie con gli sgabelli su cui ci si può accomodare per consultare un libro prima di comprarlo o leggere i quotidiani del giorno in bella mostra. Mi mancano le librerie delle grandi città, mi mancano i riti di quelle visite, l’odore di quelle pagine, il brulicare di quei lettori. A Orbetello c’è una libreria deliziosa, con dei gestori simpatici e sempre disponibili a ordinare i testi che mi servono, a consigliarmi utili letture, a mettersi a disposizione dei miei studenti. Ma non è una libreria come quelle in cui mi piace perdermi, letteralmente, fino a dimenticarmi da che parte si trova l’uscita. E quando esco, puntualmente mi chiedo come tu possa non incuriosirti al contenuto di quei tesori di carta, che cosa ci potrebbe essere scritto lì per te, per illuminarti l’anima, per prenderti cura di te, come suggerisce quel Socrate che sempre cito e che ti fa imbestialire. E subito dopo mi interrogo se, e soprattutto fino a che punto, quei libri mi abbiano ferita, isolata, mi abbiano aiutata a costruire una identità che stride con il mondo, che mi condanna ad essere sola anche in mezzo alle feste più affollate. E che mi faccia sentire lontano da qualsiasi centro che non sia il mio. Mi sono sforzata di cambiare prospettiva, di mescolarmi, di immergermi, ma ogni volta mi rendo conto che lo sforzo è disumano e pazzesco. E quando cerco di condannare gli altri a metamorfosi innaturali, la delusione è ancora più cocente.

Proprio ieri leggevo qualche riga sull’autobiografia di Henry Miller, “I libri nella mia vita”, dove lo scrittore statunitense conclude che pur non avendo letto come uno studioso aveva letto “almeno cento volte di più di quanto avrei dovuto leggere per il mio bene”. Forse non è accaduta la stessa cosa anche a me? Non è che questa “cura di sé” a cui mi sono dedicata con impegno paziente e meticoloso si è trasformata in una malattia silenziosa e strisciante che mi ha indebolito l’anima anziché il corpo? Stasera avrei voglia io di subire una salutare metamorfosi, di trasformarmi in qualcosa di assolutamente diverso da quella che sono per mimetizzarmi col mondo, per essere meno esigente e meno fragile di fronte ai riconoscimenti. E per essere più felice.