sabato 13 gennaio 2007

Qualcosa che non c'è

Molino, consapevole del mio amore per la musica, mi ha regalato “Soundtrack ’96-‘06” di Elisa, insieme alla raccolta di De Andrè “In direzione ostinata e contraria”. Le solite raccolte che casualmente si ammassano sul mercato discografico nei giorni di Natale. In questi giorni ho consumato soprattutto il cd di Elisa. Fra tutte le canzoni, una parla proprio di me, della Barbara che si tormenta di pensieri sconnessi e che cerca avidamente una via di uscita ad un malessere che ormai sembra cronico. La trascrivo, anche solo per lasciare traccia dell’amarezza degli ultimi giorni.

Qualcosa che non c'è
Tutto questo tempo
a chiedermi cos’è che non mi lascia in pace
Tutti questi anni a chiedermi se vado veramente bene
così come sono così
Così un giorno ho scritto sul quaderno
io farò sognare il mondo con la musica
non molto tempo dopo non mi bastava fare un salto per
raggiungere la felicità
Ho aspettato a lungo qualcosa che non c’è
invece di guardare il sole sorgere
questo è sempre stato il modo per fermare il tempo e la velocità
Passi svelti della gente
la disattenzione, le parole dette senza l’umiltà
senza cuore, così
solo per far rumore
Ho aspettato a lungo qualcosa che non c’è
invece di guardare il sole sorgere
E miracolosamente non ho smesso di sognare
e miracolosamente non riesco a non sperare
E se c’è un segreto è fare tutto come se
vedessi solo il sole
Un segreto è fare tutto come se
vedessi solo il sole
vedessi solo il sole
vedessi solo il sole

domenica 7 gennaio 2007

Il contrario di uno

Scrivendo così, senza trucchi né finzioni, senza nemmeno curarmi di me stessa, spesso partorisco pagine che sfuggono alla mia stessa comprensione, non solo a quella di chi legge. Ma la scrittura è così, ognuno ne raccoglie i frutti che ritiene più saporiti, ognuno ne assapora una parte, scegliendo, dal grumo dei termini versati, a volte confusamente, ciò che è solo in sintonia con se stesso. Questo mi hanno insegnato le ipnotiche poesie di Nalpas, a giocare un po’ a tombola con parole, a pescare nel mucchio, magari casualmente. Stasera scrivo così, pensieri sparsi, sconnessi, facendoli venire piano piano a galla da un me ancora in tempesta, che rischia di schiantarsi sugli scogli. Chiedo scusa a chi perderà del tempo nel leggerli, ma sono le quattro del mattino ed ho perso un po’ di lucidità nel cercare inutilmente di prendere sonno. E’ una notte difficile, che si spinge fino alle luci dell’alba. Galleggiando in un mare di emozioni da sentirmene quasi affogata, cerco di interrogarmi su molte cose, ancora oscure, ancora non attentamente filtrate. Sto negoziando la mia identità, ancora una volta, ancora una volta nel gioco infinito delle relazioni. Mi chiedo che cosa rappresentino oggi per me, quali siano gli altri significativi a cui aggrapparmi, quali gli altri con cui dialogare, a chi dare spazio, a chi aprire la porta, a chi, invece, rendere difficile il varco. Sarà bene che decida quali carte scartare dal mazzo, quali siano o meno necessarie a farmi portare avanti la partita, senza subire rovinose sconfitte.
Ho studiato un po’ Charles Taylor nei giorni scorsi, soffermandomi sulle dense pagine a commento della Fenomenologia. Torna, di nuovo, nelle riflessioni quotidiane, il tema caro del rispecchiamento. Io mi cerco/vedo in te, io mi rispecchio nel tentativo di dare spessore ad un essere, il mio, che non sarebbe tale se non grazie alle mie relazioni dialogiche. Si pensa alla filosofia alle quattro e mezzo di mattina in questa casa, in mancanza di qualcosa di meglio. Ma non si riflette su un argomento causale, si ricostruiscono i nessi di una riflessione su un tema così centrale alla Barbara di oggi, quello nodale del riconoscimento, della dualità, in primo luogo materna. Mi chiedo cosa cerchi nell’altro e mi soffermo ad analizzare le delusioni che si rapprendono sulla mia anima, fino a soffocarla. Penso a quel passaggio segreto che si crea nell’intersezione delle parole e degli sguardi, passaggio segreto ma privilegiato attraverso cui si aprono un varco i non detti, le emozioni trattenute, la paure taciute, le speranze faticosamente ordite. Pesa questa solitudine, come mai prima d’ora. E pesa questa mancanza di coraggio che mi rende ancora schiava delle solite dinamiche, per me tremendamente assassine.

“Due non è il doppio ma il contrario di uno.
Due è alleanza, filo doppio che non è spezzato”
Erri De Luca, Il contrario di uno

mercoledì 3 gennaio 2007

Stroud Green Road


E’ tornata nei miei pensieri, ha percorso i miei nervi e ha attraversato la mia mente, squassandola e lasciandola esausta, come assetata, ma incapace di dissetarsi. Oggi pomeriggio ho finalmente inviato a Niahm i soldi residui per il pagamento delle bollette. Sono stata alla posta per effettuare il vaglia e scorrendo con gli occhi gli agenti autorizzati per il Money Gram di Londra, lo sguardo si è posato su un per me anonimo negozio in Stroud Green Road. La mia strada, la mia Stroud Green Road. Chissà qual è il negozio autorizzato. Forse il bar vicino alla stazione della metro, gestito dal signore eritreo che mi accoglieva con il suo imperfetto italiano, o forse è quel malconcio negozietto della famiglia turca. Chi l’avrebbe mai detto che, oltre all’aglio, alla cipolla e alle verdure mezze ammuffite aveva l’autorizzazione per la riscossione dei vaglia internazionali?
O magari è solo uno di quei tanti alimentari di cui avrei dovuto fotografare almeno una vetrina, con quelle banane annerite perennemente ammassate e mai vendute. Ma non c’è nessuno a Londra che mangi la marmellata di banane?
Era una strada che amavo percorrere, in tutta la sua lunghezza, su entrambi i lati. Mi piaceva il brusio che usciva dai negozi, il chiasso dei passanti, mi piaceva il senzatetto davanti al Tesco con la sua copia del TheBigIssue ad elemosinare qualche pennies, mi piaceva sbirciare dentro quell’agenzia alla ricerca di un volto caro.
Non so, stasera, se accogliere questi pensieri con un saluto di benvenuto o scacciarli come i peggiori nemici, arrivati a minacciare la pace. Mi manca, la mia Stroud Green Road. Mi manca tutto di quella città e mi manca la Barbara che vi ho sepolto, chissà dove, chissà perché.

martedì 2 gennaio 2007

Ancora una volta...illeggibile

Datemi un nuovo dizionario, insegnatemi un nuovo alfabeto per decifrarmi, suggeritemi le strategie di una traduzione, indicatemi le tappe di uno svelamento, mostratemi la soluzione di un enigma. Che orrore ritrovarsi, ancora una volta, illeggibile. Forse ho solo sovrapposto linguaggi diversi, ho tracciato note opposte sullo stesso spartito, così che la lettura diventa impossibile e la melodia dissonante. Ogni Barbara lascia segno con i propri caratteri sovrapponendoli, tracciando le linee di una molteplicità, di una divisione, di una perenne lacerazione e rendendo poi difficile, quasi impossibile, una se pur ipotetica decodificazione. I miei plurali linguaggi sono quelli della dimensione reale e onirica che tracciano una ragnatela di significati tra i quali, anziché farmi strada, rischio di rimanere avviluppata, come in una morsa assassina. Rimanere attaccata alla terra, ancorata al concreto; abbandonare questo zingaresco fuggire, da un luogo all’altro, come alla ricerca di un po’ di pace, nonchè evitare di sgranare un rosario di sogni, una catena luttuosa di desideri sacrificati.