martedì 27 novembre 2012

I giorni dell'Apocalisse


Sono sopravvissuta a quelli che io chiamo “i giorni dell’Apocalisse”. In greco, la parola Apokalypsis, significa “rivelazione” e indica il disvelamento di ciò che è nascosto, l’apertura  di uno squarcio, l’erompere di un annuncio. Ai miei occhi, una maglia rotta nella rete. La rivelazione di una estraneità alla vita di questi ultimi anni, il riconoscimento di un inganno, di una caverna nella quale ero riuscita sapientemente a imprigionarmi, di una rete di menzogne e illusioni sapientemente intessuta con le mie stesse mani. E' passato un anno dall'ultimo post. Credevo che il mio lungo silenzio, il mio scrivere poco, a intermittenza, senza lo scavo e l’interrogazione continua a cui la mia scrittura mi costringe, fosse indice di rinnovata serenità, di una conclusiva pacificazione, ma era invece il maldestro tentativo di rendermi estranea a me stessa. Adesso sono costretta a dire che Bafisia aveva ragione quando mi implorava di non fuggire e non stordirmi in quelle vuote e inconcludenti occupazioni che non facevano altro che allontanarmi dalla mia anima. Per mesi mi sono trincerata dietro un lavoro intenso e senza sosta, poi mi sono tuffata in mesi di allenamento quasi forzato, nemmeno dovessi vincere la maratona di New York, poi ho cercato di convincermi, con le più svariate strategie, che ero felice, che non potevo desiderare nient’altro, che dovevo approfittare anche di questa amarezza perché non ci sarebbe stato niente di meglio. Mi sono impaludata anche in incontri snervanti di psicoterapia, mentendo alla modica cifra di settanta euro a seduta. Ho cercato solo cose che mi ovattassero dietro una falsa sicurezza. Ora, invece, è arrivato il tempo del dolore. Quello pungente, che ti stordisce come un sibilo improvviso, che ti paralizza e ti rende afona, che ti scuote e ti costringe a rivelarti a te stessa.  E’ arrivato il tempo della paura di fronte a questa nuova solitudine, di questi trentotto anni che si avvicinano, di queste rughe che iniziano a scavarmi il viso, di questa maternità che sembra ormai allontanarsi dietro il peso degli anni. E’ arrivato il tempo del silenzio, quello che scava. Ma questa apocalisse non era più procrastinabile, a pena di un’infinita amarezza. Terribilmente necessaria, terribilmente dolorosa. La mia speranza è che sia, oltre a una rivelazione, anche l’avvento di un nuovo regno, di una serenità ritrovata, di una sincerità sfrontata. Devo solo imparare a volermi bene, ad ascoltarmi con attenzione, a non strizzarmi dietro i falsi miti e i vecchi stereotipi. Devo solo imparare a non essere avversaria di me stessa. Bentornata.