giovedì 27 dicembre 2007

L'eclissi della madre

Si torna a “sparlare” di aborto. E, ancora una volta, a “sparlarne” è un uomo. Giuliano Ferrara questa volta, che continua a sorprendermi in questa sua virata teo-conservatrice che contraddistingue gli ultimi anni delle sue riflessioni, peraltro spesso sagge e pungenti. Non è la prima volta che si affaccia su questo tema: già la scorsa estate, di fronte ad una platea ciellina osannante, aveva definito l’aborto “lo scandalo moderno”, poi era passato alla pazzoide equivalenza tra Shoah e aborti, ed adesso torna alla carica, torna a “sparlarne” permettendosi addirittura di farlo in concomitanza con la moratoria internazionale sulla pena di morte. Saranno state le feste di Natale, i cervelli lobotomizzati da chili di panettone che si incollano sui nostri neuroni impedendoci ragionamenti più sottili di quelli necessari al Mercante in Fiera, ma ho trovato poche reazioni nella stampa di questi giorni.
“Un appello alle buone coscienze”: a parte il fatto che l’espressione “buone coscienze” la trovo davvero infelice, manca un punto nell’appello di Ferrara, come sempre. Come sempre si elude la questione essenziale, ossia il fatto che il feto non esiste, non vive, non si nutre e non cresce se non nel corpo di una donna. Ancora una volta si assiste all’“eclissi della madre”. Eclissi imperdonabile, eclissi che dimentica che un embrione, monstrum fra umano e disumano, è niente se isolato dalla diade primaria: la madre diventa così la vittima sacrificale in questi ragionamenti, nella pervicace volontà di separare i destini di feto e madre, destini che separabili non sono. A questa tesi, molti obiettano che alla fine con l’aborto si realizza una sottomissione del primo termine al secondo, realizzando una dipendenza del più debole dal più forte. Altri, invece, piegano alle loro teorie anche Aristotele, con le loro digressioni sull’embrione come essere umano “in potenza”…chissà che ne direbbe lo stagirita, che in quanto a misoginia non invidia proprio nessuno.
In attesa di un dibattito, torno a leggere “L’eclissi della madre” di Maria Luisa Boccia e Grazia Zuffa, che tanto mi aveva aiutato per la preparazione al referendum sulla legge 40 e che, tra l’altro, è un libro di Bafisia che dovrei decidere a restituirle. Ringrazio comunque Ferrara perché riporta l’attenzione sul tema del corpo femminile e dà nuovamente a questa questione il valore politico che spesso gli è stato rifiutato. Forse in questo modo potremmo tornare a parlare dei nostri corpi e magari riuscire a spostare l’attenzione anche sulla sessualità maschile, tabù che nessuno osa mettere mai sotto analisi e in discussione. Ma nell’attesa, forse vana, che gli uomini si sveglino, non sarà forse il caso di riportare al centro delle nostre riflessioni il tema della corporeità, della sessualità, del corpo usato ed abusato delle donne? Dobbiamo tornare, credo, a più di trent’anni fa a quando le donne sottolineavano con forza la politicità del corpo, disseppellendo una materia segreta per secoli ritenuta l’impolitico per eccellenza e confinata nello spazio privato della casa, delle scelte private, della vita. A recuperare quel “personale è politico” di cui molto si è discusso negli anni Settanta e che oggi sarebbe un buon punto di partenza per rileggere con occhi di donna questa politica che non ci rappresenta proprio più.
A proposito di cervelli lobotomizzati dalle calorie dei pranzi natalizi….mi faccio una bella fetta di Pandoro, perfettamente innevato di zucchero a velo….

domenica 23 dicembre 2007

Ritorni a casa

Ritorno a casa per le feste di Natale. Sono stata qualche giorno in silenzio, senza scrivere, completamente immersa nell’atmosfera familiare, riscaldata dalla presenza, davvero miracolosa questa volta, di mia madre, di nuovo a casa da domenica scorsa. Avvolta nei suoi abbracci, ho scelto un mutismo necessario a riannodare i fili delle mie emozioni, così concentrate su di lei. Sono ore, queste, in cui continuo ad imparare da lei la pazienza e l’attesa, l’entusiasmo e il coraggio, sono ore in cui cerco di fare ordine fra i miei sogni, i miei progetti, vicini e lontani, sono ore di dissodamento e seminagione, in attesa del raccolto. Io che sono sempre stata allergica al Natale, intollerante a questi assalti ai negozi in cerca degli ultimi regali, mi godo davvero questi giorni con la mia ingarbugliata famiglia, e vivo anche la mia città da cui perennemente fuggo, perché oggi è simbolo di radicamento e di comunione. Buon Natale a tutte e a tutti, ci sentiamo dopo le scorpacciate che ci attendono.

domenica 16 dicembre 2007

Andando e stando

Torno a riflettere, stasera, sulle assurde dinamiche che dentro di me tengono insieme l'istinto alla fuga e quello al radicamento. Fuga e radicamento rispetto ad una pluralità di eventi, ad un caleidoscopio di esperienze, anche quelle di un passato non più prossimo. E allora penso a come non abbia potuto capire, a come abbia abitato per anni la mia sicura caverna "platonica", scegliendo una minorità rassicurante e paralizzante insieme. E allora stasera penso a Sibilla Aleramo e alle sue parole illuminanti, in grado, ancora una volta, di squarciare il velo delle mie paure, ma di mettermi di fronte a quanto sia difficile ogni fuga, qualunque essa sia.

"A metà, la creatura si solleva, ancora incerta: triste è stato il lungo sonno, ma se più triste fosse l'esser desta?" (Sibilla Aleramo, Andando e stando).

venerdì 14 dicembre 2007

Tota mulier in utero

I ragazzi dell’ultimo anno tornano da Praga con centinaia di fotografie, quelle classiche da gita scolastica: poco spazio ai monumenti della città e molto alle situazioni più ludiche e divertenti di quei giorni. Mi mostrano anche, senza imbarazzo, le immagini scattate al museo del sesso, installazione stabile nel centro della città e fra queste si soffermano su quelle che ritraggono i primi vibratori elettrici. Alle risa divertite subentrano poi degli sguardi increduli quando spiego loro che in realtà non di veri e propri vibratori si trattava, ma di strumenti scientifici, utilizzati dai medici del tempo per curare l’isteria femminile. Ovvero: la masturbazione medica era per molti specialisti del tempo una pratica terapeutica fondamentale, la risposta prima al disagio femminile…Ecco come, per secoli, gli uomini ci hanno rappresentate: donna equivale ad un groviglio di organi riproduttivi che, governando la propria fisiologia, ne determinano le emozioni, condannandola ad una instabilità emotiva, ad una eccessiva teatralità, ad un’incorreggibile mutevolezza. Il tutto causato da un ciclo biologico che la umilia e la degrada. “Tota mulier in utero”: tutta la femminilità si risolve nell’utero e per questo la donna è più instabile, meno intelligente, ancorata ad uno stadio inferiore di sviluppo. Niente di nuovo, diremmo oggi, le classiche teorie pseudo-scientifiche che servivano da sostegno alla misoginia di quegli anni. Allora che dire di fronte alle immagini di un Paolo Liguori che, proprio nei giorni scorsi, durante uno scontro con Gaia Tortora, si è permesso di apostrofarla come una “verginella disturbata”? Che dobbiamo aggiungere noi donne di fronte a questa “violenza simbolica” che ancora si riproduce identica a se stessa nei secoli? Quando un uomo non ha parole per attaccare una donna, per discuterci, per confrontarsi con lei, allora si passa sempre al più bieco e volgare sessismo: è il caso della Tortora e di Rula Jebreal (“gnocca senza testa”) e chissà di quante altre che sono sfuggite al mio sguardo di solito attento quando si parla di donne.
A coloro che ci definiscono “il sesso debole” consiglierei una bella visitina al reparto di Neurochirurgia dell’ospedale di Siena, dove una donna splendida e fortissima sta tenendo a bada una nera signora che la insidia da un anno e mezzo ed ha davvero tirato fuori “le ovaie” (per non dire le palle…) anche questa volta….anche ne se non le ha più.
Grazie davvero a mamma e papà per avermi fatto donna…..per il futuro…speriamo che sia femmina. Nel frattempo mi guardo, sempre su La7, un’altra donna di fine intelligenza: Daria Bignardi (a proposito, devo ricordare la battuta infelice che le fece quel bandito di Luciano Moggi?).

Così rispenso alle parole di Carla Lonzi: "La donna appartiene alla specie vinta: vinta dal mito dell'uomo. Il privilegio dell'uomo su di lei la donna lo soffre, ma lo subisce nell'ossequio che le ispira chi ha imposto sè come soggetto. Quello della specie vittoriosa dice alla donna: 'Renditi degna di me. Assorbi, attraverso la conoscenza del soggetto, il pensiero di chi è completamente umano e universale. Sotto la mia guida raggiungerai la dimensione del soggetto"
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel.

mercoledì 12 dicembre 2007

Torino 2007

Ho cercato di vivere questi ultimi giorni in una sorta di camera iperbarica dei sentimenti, cercando di concentrarmi su di noi senza lasciarmi scalfire dal mondo intorno, se non dalle voci dei miei studenti. Così ho per il momento sospeso il mio naturale occuparmi della polis e mi sono concentrata sullo spazio angusto dell’oikos, trasformandomi in una Penelope attenta, con il mio raccogliermi nel lavoro monotono e ripetitivo del tessere e disfare la trama delle mie relazioni con mia madre e mio padre. Però questo ritirarmi in me stessa e questo imbrigliarmi negli intrecci familiari si sono squarciati di fronte ai morti di Torino, di fronte a un pezzo di vita operaia che sembrava dimenticata da tutti, anche da me. Così a quella notizia mi sono venute subito in mente le pagine che Paolo Spriano ha dedicato alla sua città, pagine che ho così avidamente letto nei mesi della tesi di laurea e a quelle che Paul Ginsborg ha composto sulla Torino del boom economico, nella sua insuperabile capacità di descrivere quei quartieri operai in cui “tutte le sveglie suonavano alla stessa ora”. E allora penso al mio babbo e a quell’inferno piombinese, penso alle strade del Cotone, penso a cosa abbia significato per me essere il frutto della fatica in una acciaieria, penso a come adesso mio padre mi guardi orgoglioso pensando a tutta la strada che ho percorso grazie alle loro invisibili spinte, e rifletto su come io stessa abbia respirato la vita operaia e ne abbia interiorizzato l’enorme forza e dignità. Così stasera in questa stanza di albergo che mi lega ancora di più alle radici familiari mi guardo Gad Lerner che dedica il suo “L’infedele” alle vittime della Thyssen e mi specchio in quelle facce, sapendo che la mia, nonostante sia così diversa, è comunque figlia loro.

Mi perdo nel quartiere popolare
tanto animato se la sera è prossima.
Sono fra gli uomini da me così
lontani: agli occhi miei meravigliosi
uomini: vivi e chiari, non valori
segnati. E tutti uguali e ignoti e nuovi.
In un angolo buio prendo il posto
che mi ha lasciato un operaio accorso
(appena in tempo) all’autobus fuggente.
Io non gli ho visto il viso ma i suoi modi
svelti ho nel cuore adesso. E mi rimane
(di lui anonimo, a me dalla vita
preso) in quell’angolo buio, un suo onesto
odore di animale, come il mio.
Sandro Penna

lunedì 10 dicembre 2007

Compleanno orbetellano

Compleanno di pensieri e paure, quello di quest'anno. Oggi, mentre i miei ragazzi cercavano di farmi gli auguri, felici ma imbarazzati dalla necessità di usare quel "tu" al posto del "lei" (non si può, li capisco, cantare "tanti auguri a lei"....) mi sono chiesta come immaginavo, alla loro età, la Barbara che sarei stata nel 2007. Allora penso a Giovanna e al nostro scherzare sui "programmi e programmini" che facciamo sulle nostre vite e al nostro riflettere su come il caso scompagini i nostri piani quando meno ce lo aspettiamo, costringendoci alle curve più assurde, alle più difficili deviazioni. E allora penso che credevo di passare il prossimo Natale a festeggiare tutti insieme, respirando la gioia di un nuovo arrivo, godendo del tepore di una casa tutta mia, e invece mi trovo qui ad immaginare un letto di ospedale, a desiderare un abbraccio, ad allontanare pensieri troppo ingrombranti per le mie forze. Sono qui a godermi un compleanno orbetellano, sola soletta in questa casa non mia, immersa nello studio, ma piacevolmente interrotta dalle mille telefonate di auguri che hanno riempito la mia giornata.
L'unica cosa che la mia immaginazione di adolescente aveva indovinato rispetto al futuro è il mio essere dietro quella cattedra, anche se, in realtà, dietro la cattedra non ci sto mai, ma spiego sempre in piedi, consumando tonnellate di gessi sulle lavagne, oppure girovagando tra i banchi, sbirciando fra le Smemorande, cercando di mimetizzarmi un po' in mezzo a loro. Loro non sanno quanto mi abbiano resa felice oggi, loro non immaginano quanto mi abbiano scaldato le loro attenzioni dei giorni scorsi, le loro continue, ma discrete domande sulla salute di mia madre.
Mi chiedo se sto facendo bene, mi chiedo se è questo il miglior modo di affrontare questa prova, mi chiedo da dove abbia tirato fuori questa insospettata voglia di farcela e di resistere.
Domani non vado a Siena come avevo programmato, mamma dice che sta bene e che mi aspetta solo il giorno prima dell'intervento...che ci sarà, dicono, a breve. Per adesso mi prendo la mia gatta pelosa e me ne vado a letto a leggere il libro di Luzzatto su Padre Pio, di cui parlerò, credo, al più presto.

mercoledì 5 dicembre 2007

Corpo a corpo

Giornate dense di corpi. Lascio che ogni sensazione passi attraverso il corpo, attraverso il calore degli abbracci, la levità delle carezze, la densità dei baci. Cerco una fusione che fluisca nello stringere mani, una comunione che si realizzi nelle corrispondenze delle voci e dei suoni.
Mi concentro sul suono ovattato delle sue parole, sulla delicatezza delle sue risate e cerco di risarcire il suo dolore con una serie di attenzioni, che so non essere mai sufficienti. Così il suo corpo ferito e martoriato si ristora nel mio ed io ritrovo in noi il dolce sapore della diade, respiro il forte mistero della nascita, cerco una inutile fuga dalla morte. Tutto, adesso, parte e si risolve nei corpi, il mio e il suo, così uniti, così diversi. E tutti i miei pensieri si costruiscono attorno a questa concretezza della carne e del sangue, alla densità del contatto, al profumo della pelle, alla morbidezza dei capelli. E allora mi fermo a pensare a come il suo corpo abbia ospitato il mio e alla sua dolce richiesta di rendere presto il mio un luogo accogliente per chi verrà.

martedì 4 dicembre 2007

Anticorpi anni Ottanta

L’ultima volte ho parlato di “latte e marie” e di cartoni animati. Mi chiedo come possa essere così fragile, insicura e sensibile al dolore, pur essendo nata nel 1974 e quindi, pur essendo cresciuta negli anni Ottanta. Non so perché, ma stasera, mentre sul divano mi facevo la “zuppetta” di latte e biscotti mi sono venute in mente le mie merende davanti alla televisione a ingozzarmi di cartoni animati, oltre che di “Oro Saiwa” e “Latte Maremma”. Ed ecco che mi sono davvero stupida di questa mia endemica insicurezza, cresciuta come sono stata a suon di disgrazie e tristezze di tutti quei drammoni stile feuilleton di fine Ottocento che erano i cartoni di noi bambini in quegli anni. Così penso che tutti noi avremmo dovuto sviluppare una capacità di adattamento superiore alla media, visto che dalla nostra più tenera età abbiamo sofferto di una bulimia di tragedie.
Si parte con un disgraziato “Senza famiglia” di nome Remi, con tre cani anoressici e un maestro girovago, il tutto farcito con una fame insaziabile, e un errare senza meta per le città d’Europa; si traghetta la nostra immaginazione infantile in una baita di montagna con una bambina cresciuta da un nonno pastore, circondata solo da mille pecore, un amico sfigato e una compagna di giochi paraplegica; per non parlare di Georgie a cui muore il padre alla terza puntata, la madre alla nona e che è costretta ad abbandonare il fidanzato ammalato di tubercolosi. Vogliamo forse aggiungere Candy Candy, l’aspirante attrice Maya e Sara, l’inglesina senza mamma che fa la schiava in un college per nobildonne?
Poi, non contenti di queste scorpacciate di disgrazie, rafforzavamo il nostro addestramento al dolore con le figurine Panini, con quegli album dedicati ai nostri eroi preferiti, altre gallerie del dolore da scambiarsi tra amici. “Tu ce l’hai la figurina del maestro Vitali morto sotto la neve?” (oddio mi sembra di vederla adesso quella figurina…), “C’hai mica la figurina del babbo di Georgie morente?”, “Mica vuoi cambiare con me questa bella figurina di Lady Oscar mentre le sparano una revolverata durante la presa della Bastiglia??”. Avete qualche perla di dolore da aggiungere?
Per fortuna riesco ancora a concedermi un po' di ironia, in questo momento di dramma. Credo però che mi faccia bene, a me e anche a lei che deve vedermi sempre tranquilla.