lunedì 27 agosto 2007

Radici

Sto riflettendo in questi giorni sulle ragioni che mi fanno essere così insicura sulla scelta da fare in merito alla scuola. Sembra che ci sia di nuovo la cattedra di Orbetello, ma sembra pure, dalle frammentarie ed incerte notizie che giungono dalle scuole intercettate e dagli uffici del Provveditorato, che possa accoppiare un discreto numero di ore sparse tra Grosseto e Follonica e restarmene, così, a casa. Una mattina mi sveglio pensando che sia meglio Orbetello, un’altra mattina scendo dal letto felice all’idea di non dovere abbandonare questo appartamento che, finalmente, si è trasformato da grigia prigione in un nido caldo ed accogliente. Starò forse mettendo radici? Il mio spirito nomadico è forse capitolato, di fronte ad un bisogno di stabilità e certezza?
Mi chiedo, ad esempio, come ho letto Londra in questi ultimi mesi, come ne ho vissuto il ricordo. Sono felice di scoprire che ha perso l’ossessività che aveva un tempo, che è finalmente spoglio, adesso, di tutti quei significati aggiuntivi con cui l’avevo appesantito. Anche questo mi sembra un bel passo in avanti, una nuova maglia rotta nella rete. Forse dovrei solo afferrare l’intuizione che questa benedetta rete, di cui tanto ho ciarlato, anche a sproposito, in questo blog, non è intessuta dalle “dinamiche assassine” legate al vivere la mia città, la mia famiglia, il mio lavoro, ma è solamente un grumo ispessito di insicurezze e paure che ha paralizzato il mio procedere. Ancora belle spesse, senza dubbio, ma che stanno cominciando a sgretolarsi sotto i colpi della mia tenacia e della mia voglia di ricominciare.

"La casa sul confine della sera
oscura e silenzione se ne sta
respiri un'aria limpida e leggera e senti voce forse di altra età
la casa sui confini dei ricordi
la stessa sempre come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici se vuoi capire l'anima che hai"
Francesco Guccini, Radici (1972)

venerdì 24 agosto 2007

Ospiti

Questo posto piace, non c’è che dire. A tutti, a quanto sembra. Loira dice che sogna una casa come la mia e che ne comprerebbe una anche più piccola pur di godere di un giardino come questo; babbo e mamma l’adorano così tanto che, nonostante io abbia provato, neppure tanto velatamente, a manifestare il mio disagio per la loro eterna presenza, sono sempre qui, per motivi ogni volta diversi. Giovanna chiede sempre “asilo politico” e Riccardo la preferiva alle stanze orbetellane sulla laguna, nonostante la sua scelta gli comportasse novanta chilometri in più ad ogni viaggio. Tutti amano questa casa. Anche i topi, ultimamente. Scivolano dalla canna fumaria, rimbalzano nel camino e poi girellano per tutte le stanze, nascondendosi non so dove e riuscendo a scappare, senza alcuna sorpresa, ai timidi tentativi di Bice di rincorrerli e di afferrarli. Che gatta goffa e idiota, con quella pancia che le ciondola e che le impedisce anche i più semplici movimenti. Lo so, dovrei metterla a dieta, ma sono così stanca di diete che vorrei che, almeno lei, se la godesse un po’. In fondo, non credo proprio che abbia l’emicrania. Il topo di questa volta è simpatico però e, se non fosse così poco igienico e pericoloso perché divoratore di ogni cosa, giuro che l’adotterei. Anche solo per il fatto che si è mangiato il formaggio senza restare mozzato nella tagliola che babbo aveva preparato per lui e nascosto dietro il frigo. E’ un mito, ci ha proprio fregato. Allora abbiamo pensato di sostituire il formaggio, forse troppo morbido e quindi masticabile, con un pezzo di pane duro. Costretto a masticare per un bel po’, sostiene babbo, sarà obbligato a restare sulla tagliola per un tempo sufficiente a farla scattare. Bene, ho guardato, ma il pane se lo sono mangiato le formiche che d’estate mi infestano la cucina. Contro le formiche è una battaglia persa, in partenza, nonostante polverine sparse a tutti gli angoli della casa. Devo solo aspettare il freddo e se ne torneranno nei loro formicai a consumare le scorte di cibo che hanno rastrellato indisturbate in casa mia (compreso il pane destinato al topo). Al piano di sopra invece ho convissuto per alcuni mesi con Billy, come io e Francesca l’avevamo ribattezzato, un geco che sembrava non volersene andare da quella camera accogliente. Piena di ragni tra l’altro, che si riproducono ad una velocità imbarazzante e che non riesco mai a togliere completamente. Insomma, quanto è amata questa casa, proprio da tutti. Ma perché non ve ne state un po’ tutti a casa vostra: le formiche nei formicai, i gechi appiccicati sui muri esterni e i topi dove vogliono purchè all’aria aperta? Gio e Riccardo, invece, hanno il via libera; per babbo e mamma si prevede una libertà vigilata, perché a volte, rompono un po’ i coglioni. Do you know what I mean?, avrei detto…una volta.

giovedì 23 agosto 2007

Graduatorie "ad esaurimento"

E' quasi l'una di notte. Ho provato ad addormentarmi, ho cercato di tenere sotto controllo un attacco di emicrania per poi capitolare e ricorrere all'ennesima supposta di Difmetrè. Penso ininterrottamente, non riesco a dormire, faccio ipotesi e poi le smonto e partorisco idee che da geniali si tramutano, nel giro di qualche ora, in barzellette ridicole. Non c'è niente da fare, sono condannata a questo eterno ruminare, sono costretta a dedicarmi a quest'arte del fare e del disfare nella quale sono un genio insuperabile. Mai una certezza, mai un punto fermo, solo un perenne rimuginare e ripercorrere con la mente le mille opzioni possibili. E cambio idea ogni secondo, anzi ogni frazione di secondo, rischiando di impazzire. Cerco invano di rallentare i miei pensieri, mi sforzo di rintracciare un po' di stabilità, un baricentro non suscettibile al primo ondeggiamento di umori, provo a non farmi sedurre dai dubbi che vanno a corrodere anche le poche certezze.
Ho capito, adesso, il Ministero della Pubblica Istruzione. Da quest'anno le graduatorie sono "blindate", ovvero, questa è stata l'ultima possibilità di scegliere la provincia dove lavorare e dove inserirsi. Idea geniale, ad una prima lettura. Nessuno può più (almeno fino ai prossimi ripensamenti che in questo ambito sono quasi giornalieri) sorpassarti ad ogni aggiornamento, nessuno può più mettere in dubbio la tua posizione nella classifica dei supplenti, nella top ten del precario. Lì sei e lì rimani, in eterna attesa del "ruolo", banchetto pasquale dopo una così lunga quaresima....Ma non avrebbero certo potuto chiamarsi "graduatorie blindate", meglio battezzarle con l'espressione che a loro più si aggrada: "graduatorie ad esaurimento". Perchè è questo che alla fine diventiamo: un popolo di esauriti che non sanno fino all'ultimo giorno dove sverneranno l'inverno, quante ore lavoreranno, quanto guadagneranno e cercano, con una ricerca famelica e pure un po' insensata, di carpire più informazioni possibili, per non arrivare impreparati il giorno delle nomine. Che sarà giovedì prossimo per noi insegnanti di filosofia e storia, alle nove. Ci troveremo tutti a Grosseto a vedere come andranno ad amalgamarsi le mille variabili che cerco adesso di dominare ma che so saranno visibili solo fra una settimana. Ci vediamo a Grosseto giovedì prossimo, tutti belli "esauriti".

In questi, giorni, di fronte a queste esitazioni, a questi continui cambiamenti, a queste idee diverse e contrarie che si rincorrono nella mia testa, mi rimbombano nella mente i versi di Dante di fronte a Virgilio, nel secondo canto dell'Inferno: " e come quei che disvuol ciò che volle / e per novi pensier cangia proposta / sì che dal cominciar tutto si tolle /tal mi fec'io 'n quella oscura costa /perchè, pensando, consumai la 'mpresa / che fu nel cominciar cotanto tosta".

lunedì 20 agosto 2007

Fuori dalla caverna

Ho scritto queste poche righe alcuni giorni fa, in preda ad un acuto malessere. Le trascrivo solo adesso, dopo che l'amarezza si è stemperata.

"E’ un nuovo giorno a Follonica, senza dubbio più pesante di quello appena passato, ma va bene, va tutto tremendamente bene. Tutto torna, adesso, una volta disciolte le parole compresse. Per quale motivo, non so. Mi chiedo come sia possibile che le persone che più ti sono vicine cambino davanti ai tuoi occhi in maniera improvvisa ed inattesa, senza che tu abbia avuto il sentore, senza che tu abbia avuto il tempo di registrarne il cambiamento. E’ proprio vero che siamo sempre, costantemente, prigionieri di quella maledetta caverna, incapaci di volgere attorno il capo. Ed è tremendamente vero che quando abbandoni il buio delle tue sicurezze gli occhi ti fanno male e il dolore si diffonde su tutto il corpo, fino a colpire la tua anima". Ecco un'altra necessaria e vitale maglia rotta nella rete.

"Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sè e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte?"
Platone, La repubblica, libro VII.

mercoledì 15 agosto 2007

Emicranie estive


Ancora una nuova emicrania. Ho cercato di stemperarne l’arroganza con una nuova supposta, l’ennesima. Mi uccideranno, questi farmaci mi uccideranno. Cerco di non abusarne, ma il dolore è ogni volta così lancinante che non riesco a farne a meno. Babbo mi sta facendo le iniezioni protettive, nel tentativo di proteggere il mio già così fragile corpo. Sono appena tornata da una cena a casa di Paolo e Simona e ancora, nonostante il Difmetré, sento ogni fibra del mio corpo pervasa da questa sensazione di dolore mista a stordimento. Il risultato del mio essere, giocoforza, una drogata legalizzata. Leggo sulle istruzioni che una supposta contiene: principio attivo indometacina mg 25, caffeina mg 75, proclorperazina dimaleato mg 4. Ecco di che cosa mi faccio quasi ogni giorno. Porto sulle spalle il peso degli ultimi giorni, o meglio, sulla testa. Mi chiedo perché questo ritorno in grande stile della mia terribile compagna emicrania. Ancora una volta cerco di proteggermi dai suoi assalti con mille accorgimenti per poi capitolare e sventolare bandiera bianca. E’ sempre lei a vincere la partita, non riesco a metterla alla porta. Nonostante tutto stasera ho cercato di non farmi soffocare dal dolore e godermi una piacevole serata con un pezzo di famiglia che mi ha donato il dolce sapore dell’appartenenza. E mi sono anche bevuta un bel rosso di Montalcino, alla faccia dei consigli della Lichkok, come la chiama Riccardo.

lunedì 13 agosto 2007

Millenovecentottanta

Che anno è stato? Bo, non so. E’ stato l’anno della pubblicazione del “Nome della Rosa” di Umberto Eco, il primo vero romanzo di cui ho sfogliato le pagine e che mi ha fatto innamorare del calore della scrittura. Vittorio Bachelet è stato ucciso dalle Brigate Rosse, John Lennon da uno squilibrato, è morto Tito a Belgrado, in Irpinia si è aperta la terra e a Milano il biscione ha dato vita a Canale 5. Intanto io entravo per la prima volta in una scuola elementare, in quegli stabili di Via Marconi che oggi, mi pare, ospitino un gommista o qualcosa del genere. Mamma e babbo avevano l’età che io mi porto addosso oggi e continuavamo ad andare a Roma per le visite ai nonni che da lì a poco si sarebbero trasferiti nella nostra città che, forse, non era poi così diversa da come la vedo oggi. Nell’estate del 1980 mi godevo i giochi ai “Bagni Gelli”, come noi avevamo ribattezzato quella lingua di spiaggia libera affollata da noi bambini e dai loro genitori che, operai, non potevano permettersi l’ombrellone agli stabilimenti adiacenti. Io e Sara continuavamo ad azzuffarci per ogni piccolezza per poi ritrovarsi, ventisette anni dopo, a raccontarci le vie più o meno tortuose delle nostre vite e dei nostri amori. E nessuno si sarebbe immaginato che uno di noi avrebbe trascorso l’estate del 2007 in un carcere livornese per qualcosa di più grande di lui, che nessuno di noi osa decifrare. Insomma, come quelli che lo hanno preceduto, il 1980 fu un anno di grande spensieratezza e serenità per la mia famiglia, che avrebbe vissuto momenti drammatici negli anni a venire. Un anno di bambina, una piccola “culodritto” con gli occhi spalancati sul mondo, pronta a cogliere ogni movenza, a decifrare ogni oscuro meccanismo, a moltiplicare le domande per vivida curiosità. Ma allora mi chiedo: perché questo 1980 dovrebbe spaventarmi così tanto? Pensando a questo stasera, accompagnata da questa musica caldissima e avvolgente, capisco che, ancora una volta, il mio sguardo è male indirizzato e vede pericoli dove non ci sono, lasciandosi sfuggire le vere insidie. Evviva il 1980.

"L'estate paziente"


Avrei tante cose da dire ma è come se le parole mi restassero strozzate in gola. Decido di postare ugualmente, convinta che questo blog, possa ancora parlare di me. Per chi non so più ormai, ma non importa. E’la mia finestra sul mondo e voglio ancora aprirla qualche volta per affacciarmi con le mie smorfie. Sono anche stufa di questa scrittura cerebrale e intimista che, come dice Alida, sminuisce la mia esuberanza e mi fa apparire per quella che non sono. Chissà, forse da queste pagine sembro essere una “boring woman”, come un lettore mi ha apostrofato in un commento un po’ di tempo fa. Che estate, piena di sorprese, di turbamenti, di paure e inquietudini. Non ho scritto, quasi mai, tutta presa come sono stata dall’affrontare mille pensieri, girandole di sensazioni, turbinii di incertezze. Mi chiedo se questa estate, prima della sua prossima fine, avrà ancora in serbo qualche sorpresa per me. Un’estate partita a gran velocità, con le emozioni che si rincorrevano ad un buon ritmo, estate che poi ha vissuto una brusca frenata fino a rischiare il collasso, per poi ripartire, sebbene con un battito rallentato. L’angoscia, non so perché, è arrivata da qualche settimana, davanti a quella domanda: ma che sarà di me a settembre? Ma in fondo, se ricerco un briciolo di razionalità, capisco che non posso aspettarmi che paura e inquietudine da quella che io chiamo “l’estate del precario”…
in mezzo a graduatorie, incarichi di ruolo, brutte sorprese, paure sul prossimo futuro (avrei potuto chiamarla “l’estate della supplente” ma mi vengono in mente le commedie sexy all’italiana….quindi vada per l’altra espressione, senza dubbio più sobria). Sembra tutto passato, adesso. Ora c’è un’attesa più calma e raccolta, meno ansiogena, convinta che la Dea Casualità giocherà le sue carte e io ne sarò, ancora una volta, vittima…Vittima? Per adesso, concedetemi questo purismo linguistico, ho avuto sempre un gran culo, nel bene e nel male.
E poi basta, sono stanca di rimuginare su quello che avrei o meno potuto fare. Non c’è niente che mi riesca bene come questo. Sono giornate serene, nonostante tutto e sono contenta per come riesco ad affrontare gli imprevisti e a sbrigliare le matasse, sempre più ingarbugliate.
Aspetto che questi giorni di metà agosto finiscano, portando con sé i mille turisti, il caldo, la festa dell’Unità che mi impegna quasi tutte le sere. E cominci l’ultima, intensa settimana prima di sapere dove il caso mi catapulterà il prossimo settembre. Vedremo. Per adesso vivo, come ho finalmente imparato a fare… e ricomincio a correre.