martedì 20 marzo 2007

Clarice Lispector

In fondo, anche le attese senza fine nelle sale di aspetto degli aeroporti hanno in serbo sorprese. Come il tempo vuoto da riempire con la lettura, facendoti largo tra le inevitabili distrazioni, tra i ragazzi che mi chiamano, tra il telefono che squilla, i passeggeri che si lamentano e i pianti insopportabili dei piccoli viaggiatori. Il libro è bello, intenso, anche se un po' pesante. Le pagine non scorrono veloci, ma hanno bisogno di essere assorbite con lentezza e concentrazione. Ecco una pagina che ho particolarmente apprezzato.


“Se lanciassi un grido – penso ormai senza lucidità – la mia voce riceverebbe l’eco uguale e indifferente delle pareti della terra. Se non vivo le cose, allora, non troverò la vita? Ma anche così, nella solitudine bianca e limitata in cui ricado, sono ancora prigioniera fra montagne chiuse. Prigioniera, prigioniera. Dov’è l’immaginazione? Cammino su binari invisibili. Prigione, libertà. Sono le parole che mi vengono in mente. Ma non sono quelle vere, uniche e insostituibili, lo sento. Libertà è poco. Quello che desidero non ha ancora nome…Cercare tranquillamente di ammettere che forse lo troverò solo se andrò a cercarlo alle fonti piccole. Oppure morirò di sete. Forse non sono fatta per le acque pure e vaste, ma per quelle piccole e di facile accesso. E forse il mio desiderio di un’altra fonte, quell’ansia che conferisce al mio viso l’aria di chi va a caccia per sfamarsi, forse quell’ansia è un’idea – e null’altro”.

Clarice Lispector, Vicino al cuore selvaggio

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