martedì 25 luglio 2006

Le voci del mio luogo

Sono quasi le due e trenta del mattino ed ancora non sono riuscita a prendere sonno, neppure a percepire una leggera pesantezza sugli occhi che, ancora spalancati sul mondo, aspettano l’abbraccio di Morfeo. Sono ancora in attesa che il figlio del Sonno e della Notte mi conceda un po’ di tregua magari sfiorandomi le palpebre con i suoi papaveri rossi e regalandomi piacevoli visioni. L’insonnia di questa estate londinese sta diventando davvero insopportabile perché lascia una scia di spossatezza sulle restanti ore del giorno, anche quando riesco a rimandare il suono della sveglia di qualche ora (privilegio unico del mio lavoro!!!).
La difficoltà a prendere sonno dissotterra radici, rintraccia appartenenze, rivela eterne congiunzioni. Lei non è mai riuscita a concedersi un appagante riposo e forse, proprio in questo momento, è ancora adagiata sul divano in attesa della quiete notturna, approfittando di una brezza leggera che entra dalle finestre, ancora spalancate per rinfrescare quelle stanze sempre battute dal sole. Ha sicuramente addosso una camicia da notte perché il pigiama non le piace, a differenza di me che non riesco a dormire se non mi sento avvolta e protetta da un paio di pantaloni. E’ come se questa mia incapacità di dormire mi costringesse a riconoscere che, dovunque mi condurranno queste linee di fuga, ho un luogo a cui apparterrò, fino alla fine. In questi giorni ho scoperto sul mio corpo i segni di un’eredità, l’armonia di un accordo, la rivelazione di una incancellabile comunanza. Oggi ho scoperto, distesa nuda nella vasca da bagno, che le mie gambe un tempo intatte adesso parlano un gergo antico. In queste odiose ragnatele violacee vedo l’oscuro alfabeto dell’appartenenza, un abbraccio materno che si fa specchio, origine, archetipo. Nonostante tu sia con me non solo nei miei pensieri ma anche nella materialità del corpo che ogni giorno mi interpella con i tuoi nomi, adesso ho bisogno di rinascere in tua assenza. E questo, forse, marcherà una più sentita vicinanza. Che sento, quotidianamente, anche nelle tue parole inaspettate di sostegno.

“Riparami madre
dalle tue braccia […]
Devi trovarmi
devi inventarmi,
il tuo spavento d’esistere
è pure
il mio”
Margherita Ruini

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Le tue parole sono sempre state cariche di significati ed emozioni, ma sempre di non facile decifrabilità per un pragmatico.
Intuisco che hai deciso almeno in linea di massima il tuo prossimo futuro.
Quando e se ti andrà ne parleremo.
Per ora un forte abbraccio,
Molino.

Anonimo ha detto...

'Due buoni compagni di viaggio non dovrebbero lasciarsi mai.
Potranno scegliere imbarchi diversi, saranno sempre due marinai...'


ti dono ciò che tu mi hai donato anni fa...ancora grazie!

Giovi

N.B. visto che alla fine sono venuta nel tuo blog?

Anonimo ha detto...

Caro Molino,

Le parole non si decifrano, non sono un codice da decrittare... certe parole si devono assorbire come una spugna fa con l'acqua, e lasciarle poi decantare come si fa col vino, per poi assaporare il loro retrogusto dolceamaro...

Il pragmatismo, come movimento filosofico, non da' spazio al sentimento e alle ispirazioni: si attiene alla riproducibilita' dell'evento, all'utilizzo del metodo scientifico. Approccio validissimo nel campo della ricerca scientifica, ma un po' debole nella vita...

G