martedì 5 dicembre 2006

Percorsi di memoria

Qualche giorno fa ho lavorato solo le prime due ore, impegnandomi insieme ai ragazzi di terza in una lezione su “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Le altre classi si sono aggiunte al “gregge” degli scioperanti, come protesta contro il mancato funzionamento dei riscaldamenti. La scuola non è cambiata molto, almeno in questo, rispetto a quindici anni fa, quando Molino infiammava gli studenti in quel vialetto davanti all’ingresso e ci regalava quasi una settimana di sciopero per la guerra in Iraq del 1991. E anche se c’erano molti gesti che rivedo ancora oggi, quindici anni fa l’intelligenza di alcuni di noi generava le scarne pagine di Satyagraha, esperienza di grande significato che marcava la mia precoce iniziazione alla politica, nonché un senso di lontananza dal centro confuso e l’ostentato orgoglio di abitare la periferia. Cerco qualcosa di me nei ragazzi di oggi e, nonostante la mia estraneità a certe loro movenze, risento una vicinanza a quell’età informe dell’adolescenza, lunga anche per me, abbandonata non da molto per il territorio, non meno sicuro, dell’adultità. Niente o pochissimo, di alcuni di questi ragazzi, mi parla di quello che Barbara era quasi vent’anni fa: i loro visi abbronzati, quella spasmodica ricerca del vestito all’ultima moda, quegli occhiali da sole perennemente indossati che ti vietano anche un fugace incrocio di sguardi, quella arroganza ostentata, quel pretendere sempre tutto, ad ogni costo, senza nessun prezzo. Mi sto sforzando, nonostante la pesante e a volte intollerabile estraneità, di tirare fuori il meglio di loro e capitolo, esausta, di fronte ad ogni nuova delusione, come se il successo di questo rapporto pedagogico dipendesse tutto da me. Preferivo la gioventù semplice e fresca di qualche anno fa a cui forse l’aria di montagna dava il senso delle vette da arrampicare a questa gioventù melmosa e paludosa della laguna.
La vicinanza ad alcuni di loro, tuttavia, mi ha permesso, in questi giorni, di ricostruire la Barbara di un tempo, a cui mi sento ancora così aderente, di recuperare memorie e sensazioni attraverso la lettura di vecchie pagine buttate giù con mano infantile, ma già così chiaramente in cerca di quella mineralogia del pensiero che solo la pratica quasi quotidiana della scrittura ti regala. Leggendo e rileggendo quelle pagine ho cercato di ridisegnare i paesaggi che ho abitato, di rintracciare i sentieri che ho percorso, di fronte a quali porte mi sia paurosamente arrestata. E così nei giorni scorsi mi sono quasi commossa a dissotterrare momenti apparentemente nascosti, a riempire le lacune della mia biografia, a recuperare foto dimenticate, a tessere i fili della memoria. Con fatica ho cercato di “rinfrescare” idee e ricordi, le cui deboli tracce rischiano spesso di svanire come immagini inconsistenti di sogno. Chissà che cosa uscirà da questo tentativo di dipanare la matassa del tempo passato e se mai riuscirò ad affrontare con fiducia e entusiasmo la tessitura di una trama futura.

“Le idee della nostra giovinezza spesso muoiono prima di noi. In ciò il nostro spirito somiglia a quelle tombe alle quali ci avviciniamo: si vedono il bronzo e il marmo, ma il tempo ha cancellato le iscrizioni, e le immagini cadono in polvere. Le immagini tracciate nel nostro spirito sono dipinte con colori che svaniscono: se qualche volta non le rinfreschiamo passano e scompaiono interamente” J. Locke, Saggio sull’intelletto umano.

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