giovedì 21 dicembre 2006

Di nuovo i sensi di colpa....

Giornata grigia, umida. Mentre al di là della finestra scende una pioggia dissetante, in casa c’è la lotta degli odori, oltre a quella dei contrari. Mi chiedo chi sono oggi, cercando di attraversare i contrari che mi contraddistinguono, in una perenne lacerazione. E’ polemos, oggi, è una stancante altalena di andare e stare, di piangere e sorridere, di trattenersi e perdersi.
Dovrei mettere la pentola sul fuoco e preparare la cena, accorta a non cedere alle tentazioni, come oggi a pranzo, attenta nel ricordare i passi pesanti che mi schiacciano la testa e che sono immancabili, dopo qualche innocuo piacere. Impavida una ragnatela dondola dal soffitto…quando mi deciderò a pulire?
La lotta degli odori. E’ l’odore dei broccoli appena lessati che adesso sembra avere avuto la meglio su quello del fumo, che oggi sembra voler uscire da un indisciplinato camino. Il pensiero oggi sembra l’unica solida certezza, nonostante anch’esso vacilli, oscillando tra i poli del mio essere, di nuovo in battaglia. Così oggi, finalmente, mi concentro su quei pensieri, troppo a lungo fuggiti, ostinatamente rimossi, a ricerca di protezione, tutela. Oggi la vedo e la sento, invadente, capace di scompaginare ogni attimo di calma, di terremotare ogni solida fiducia e certezza, di risvegliare ogni riposo di noi e fra noi. Tornare in me, tornare a te, madre.

Ho sempre pensato che fosse debole nel corpo, lei, così forte nell’anima; ho sempre pensato che sarebbe crollata sotto i colpi di tanti pensieri, pensieri sempre rivolti all’altrui alla ricerca di una totale fusione, nella rinuncia allo scarto. Ho sempre pensato che avesse bisogno di un po’ più di calore e che io avrei dovuto prestare più attenzione. Attenzione? Non avremmo dovuto, forse, consumare questa relazione nell’ascolto, tendere l’orecchio attento alla ricerca di sottili richieste, ricoprire di maggiori attenzioni colei che di così tante accortezze ci ha sempre omaggiato negli anni? Non avremmo dovuto osservare con più cura e prudenza i segnali costanti che il suo muto corpo ci inviava, forse gridandoli, ad intervalli quasi costanti? Non avremmo dovuto rispondere con entusiastici “sì” a certe sue apparentemente futili richieste?
Non avrei dovuto, io, così edipicamente attaccata alla sua maestosa corazza, nutrirmi e proteggermi maggiormente in lei, sena divorarne la forza? Non avrei dovuto, almeno io e prima di adesso, capire il suo faticoso abitare il mondo da donna ed offrire anche le mie spalle per reggerne il peso?
E lei ancora continua a cercare in me un appoggio, a chiedere una conferma. Anche “in un giorno felice”, come dice lei, ha dovuto dubitare che io esultassi alla notizia di una spesa tanto sconsiderata, quanto per me attesa. Adesso, invece che tutto il mio amore, vorrei gridarle di smettere di sottomettere scioccamente il sé all’altro, come ha sempre fatto, e di imparare dagli errori e dalle sviste del passato, resi possibili dal nostro differire in un tempo non infinito ma incerto un nostro brusco congedo.

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