venerdì 22 dicembre 2006

La lingua dell'abbandono

Il silenzio parla. Mi parla. Mi parla una lingua che non riuscirò mai a decifrare, quella sterile dell’abbandono. Io che spesso mi sento una giocoliera di parole, non riesco a comprendere coloro che non le modulano. Ma cosa mi dicono i silenzi? Mi parlano forse di una fuga, di una rescissione, di un rifiuto di condivisione? Non sopporto il muto abbandono e ne preferisco uno amaro, ma gridato e sincero. Vi prego dissotterrate le parole, date loro respiro, fatele decantare ed assaporatene il gusto, per quanto aspro. Vi prego pesatele quando le pronunciate, dando corposità ad ogni singola parola e valore ad ogni singola sillaba, accordando ogni suono con quelli del mio io più profondo, se ne avete sentore. Abbandonatevi alla circolarità del sentire, dello spartire e patire le cose con gli altri, tutto per restituire forza ai legami, anche se recisi.

"Venite, parliamo tra noi
chi parla non è morto,
già tanto lingueggiano fiamme
intorno alla nostra miseria.
Venite, diciamo: gli azzurri,
venite, diciamo: il rosso,
si ascolta, si tende l'orecchio, si guarda,
chi parla non è morto.
Solo nel tuo deserto,
nel tuo raccapriccio di sirti,
tu il più solo, non petto,
non dialogo, non donna
e già così presso gli scogli
sai la tua fragile barca.
Venite, disserrate le labbra
chi parla non è morto"
Gottfried Benn

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