mercoledì 12 dicembre 2007

Torino 2007

Ho cercato di vivere questi ultimi giorni in una sorta di camera iperbarica dei sentimenti, cercando di concentrarmi su di noi senza lasciarmi scalfire dal mondo intorno, se non dalle voci dei miei studenti. Così ho per il momento sospeso il mio naturale occuparmi della polis e mi sono concentrata sullo spazio angusto dell’oikos, trasformandomi in una Penelope attenta, con il mio raccogliermi nel lavoro monotono e ripetitivo del tessere e disfare la trama delle mie relazioni con mia madre e mio padre. Però questo ritirarmi in me stessa e questo imbrigliarmi negli intrecci familiari si sono squarciati di fronte ai morti di Torino, di fronte a un pezzo di vita operaia che sembrava dimenticata da tutti, anche da me. Così a quella notizia mi sono venute subito in mente le pagine che Paolo Spriano ha dedicato alla sua città, pagine che ho così avidamente letto nei mesi della tesi di laurea e a quelle che Paul Ginsborg ha composto sulla Torino del boom economico, nella sua insuperabile capacità di descrivere quei quartieri operai in cui “tutte le sveglie suonavano alla stessa ora”. E allora penso al mio babbo e a quell’inferno piombinese, penso alle strade del Cotone, penso a cosa abbia significato per me essere il frutto della fatica in una acciaieria, penso a come adesso mio padre mi guardi orgoglioso pensando a tutta la strada che ho percorso grazie alle loro invisibili spinte, e rifletto su come io stessa abbia respirato la vita operaia e ne abbia interiorizzato l’enorme forza e dignità. Così stasera in questa stanza di albergo che mi lega ancora di più alle radici familiari mi guardo Gad Lerner che dedica il suo “L’infedele” alle vittime della Thyssen e mi specchio in quelle facce, sapendo che la mia, nonostante sia così diversa, è comunque figlia loro.

Mi perdo nel quartiere popolare
tanto animato se la sera è prossima.
Sono fra gli uomini da me così
lontani: agli occhi miei meravigliosi
uomini: vivi e chiari, non valori
segnati. E tutti uguali e ignoti e nuovi.
In un angolo buio prendo il posto
che mi ha lasciato un operaio accorso
(appena in tempo) all’autobus fuggente.
Io non gli ho visto il viso ma i suoi modi
svelti ho nel cuore adesso. E mi rimane
(di lui anonimo, a me dalla vita
preso) in quell’angolo buio, un suo onesto
odore di animale, come il mio.
Sandro Penna

1 commento:

Anonimo ha detto...

molto bella e profonda la poesia ,
la tragedia di Torino lascia senza parole , solo tanta rabbia ...
ho parlato di te nel mio bloghttp://pervinka.splinder.com/
lieto fine settimana , un sorriso anche alla tua famiglia.
Anna