giovedì 21 settembre 2006

Ricordi e residui: al parco di Clapham

Oggi scrivo d’altro. Lascio l’alieno al suo lavorio, nell’attesa di saperlo sconfitto.
In questi giorni mi sono accorta che, in questo paese malato di calcio, non è stata ancora smaltita l’ubriacatura per la vittoria della Coppa del Mondo. I ragazzi ancora ne parlano, a scuola. Senza dubbio ricorderò i giorni londinesi anche come quelli che hanno ospitato una inattesa vittoria, mentre la colonna sonora di quei giorni continua a rimbalzarmi nelle orecchie ad ogni angolo, riportandomi alla mente quella giornata, così indelebilmente inscritta nei miei pensieri, anche quelli di oggi, così dannatamente occupati da altro.
Penso a quella domenica pomeriggio al parco di Clapham e continuo a domandarmi quali siano i residui che quelle ore hanno lasciato, oggi. Rivedo quelle nuvole che si rincorrono in un azzurro terso, sento le voci che scongiurano la pioggia e che si interrogano sui movimenti di un vento spazzino in grado di assicurare il bel tempo. Sento il sibilo del vento, che ancora sembra scompaginarmi i capelli, sento il ronzio delle voci, rivedo quei volti divenuti in un secondo di follia così familiari, continuo a modulare nella mia testa le urla, i canti, risento gli abbracci, ripercorro quella corsa verso quella piazza diventata inaspettatamente nostra. E’ come se fossi inseguita dai ricordi di quella giornata: così ripenso alla città attraversata in lungo e in largo, alla richiesta al cielo di chiudersi a riccio per non far scendere neppure una goccia, al gran trambusto di quelle ore, al rincorrersi delle bevute, al fracasso dopo la fine, alle plurali sensazioni che hanno occupato il mio corpo e la mia mente fino al mattino.
Non so perché stia scrivendo questo stasera, perché abbia questo desiderio di lasciare traccia di un paradiso perduto. Forse perché dovrei “stancarmi” di qualcosa che, in realtà, non ho mai avuto, non ho mai assaporato fino in fondo. O forse perché queste ultime settimane hanno avuto su di me un effetto dinamite e mi hanno rivelato a me stessa, ancora una volta, per quello che sono: chiassosa, impulsiva ed indiscreta, ma così franca e, soprattutto, così vulnerabile. Stasera mi sento come uno di quei bozzoli vuoti che gli insetti, una volta preso il volo, lasciano sugli arbusti, sensibili nella loro fragilità ad ogni colpo di vento. E mi sento svuotata da questa paura incontrollabile e da questo continuo fantasticare su me stessa, da questo continuo chiedermi come sarebbe stato e come mi sarei ritrovata in futuro se avessi provato a restare. E mi chiedo perché il mio essere così fragile e incerto abbia apprezzato quella inattesa premura, perchè abbia deciso di concedermi alcuni giorni di respiro in un momento così difficile, perché non abbia dato valore a quelle parole sforzate. Poi mi volto, leggo con rabbia le sue espressioni di sofferenza e Londra esce dai miei pensieri.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Barbarina carissima,
sarà perchè le piccole stanze di mia madre ti hanno protetta e accolta con infinita simpatia, che

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)

Anonimo ha detto...

Perche non:)