giovedì 8 dicembre 2011

In/sofferenza

Erano anni che non rileggevo il mio blog, quasi tutto d’un fiato. In questo pomeriggio solitario sulla laguna, con un sole stupendo che mi ha stanato e spinto a correre, mi sono concessa un’inversione di marcia e ho cercato, tra le mie pagine, il senso di tanto cercare. So che dicembre non è il mese migliore per le radiografie all’anima: è un mese che trabocca ricordi e che vorrei poter traghettare senza tutta questa paura, per arrivare a fine gennaio quasi senza percepirne l’esistenza. Un salto nel tempo capace di cancellare questo mese dal calendario e caricarsi con sé i suoi plurali significati. Eppure è sempre stato un periodo così atteso, durante tutto l’anno. Che comincia con il mio onomastico, il quattro, per poi attraversare veloce la giornata di addobbo dell’albero, l’otto, per poi passare al mio compleanno, il dieci, e poi arrivare a Natale. Lei lo aspettava con l’ansia e l’emozione dei bambini, per abbellire la casa e scegliere il colore che, più di altri, rispecchiava il suo sentire. Per anni, da bambina, ho lamentato la sua ostinazione all’originalità, che mi obbligava ad avere un rachitico beniamino decorato con le cose più strane, al posto del classico abete profumato che, solo, poteva dare l’aria del Natale. Adesso guardo questo 25 dicembre che arriva con un dolore che mi si è attaccato addosso come la resina e mi chiedo come possa lavare via da me tutto questo malessere denso come il fumo che fa presa sui vestiti. Ci vuole solo una bella lavatrice, è inutile lasciarli prendere aria perché quell’odore resta avvinghiato alle maglie dei tessuti e ritorna, dopo giorni, a far sentire il suo profumo.

Eppure, dopo questa immersione in questi anni di parole, stasera sento una profonda insofferenza verso me stessa, la stessa che sentiva mia madre. Questo mio eterno cercare, questo continuo ruminare, questo interminabile girovagare alla ricerca di un posto per me. Quel fuggire da qualcosa senza sapere dove (torna il mio amatissimo Kafka), quel mio essere un grumo di contraddizioni, una mescolanza di contrari (per niente armonica, peccato per il mio Eraclito!). Io sono un tutto compresso qui dentro, un tutto e un niente, un infinito numero di antinomie, di opposizioni, di guerre. Un voler essere una studiosa che ha cominciato ad annoiarsi a non fare altro nella vita che studiare, una figlia che ama un padre terribilmente ma che vorrebbe dimenticarlo, una donna che vorrebbe un giorno essere una madre e una donna che allontana l’idea di un figlio come la peggiore iattura a tutta la sua indipendenza. Una che ama la sua casa ma vorrebbe venderla, che vorrebbe andarsene e restare. Una che, alla fine, a forza di stare su questa altalena è terribilmente infelice. E lei me lo diceva sempre. Mi sto arrabbiando, perché vivo come su una nuvola senza mai appoggiare i piedi per terra, perché ricerco sempre un domani perdendo l’oggi, perché assaporo sempre il profumo di un qualcosa che non c’è è dimentico il concreto che possiedo. Non mi sopporto, in questi giorni non mi sopporto. E pensa come deve essere difficile per gli altri. Domani Firenze, un ritorno tanto atteso e temuto, ma non più procrastinabile. E un compleanno fiorentino con due amiche carissime. Speriamo mi sopportino almeno loro.

1 commento:

Baol ha detto...

Io, ogni tanto, il mio blog me lo rileggo :)