domenica 12 novembre 2006

Confini

Mi sono svegliata presto, con l'ennesima emicrania e la solita inquietudine. Prima di pranzo ho sfogliato, per l’ennesima volta, alcuni libri di Lea Melandri, tendando di recuperare i preziosi ingrendienti della sua densa scrittura. Tento di mettere ordine nei miei pensieri notturni e di incanalare gli altri in sentieri meno ripidi, cercando quasi la pace di una anestesia emotiva. Sto percependo un insostenibile senso di accerchiamento: angoscia antica, sensazione già vissuta, che apre la strada alla solita domanda: e la via di uscita? Dove individuarla, adesso? Anche la riposta si ripete: stare presso di sé, dare corpo ai pensieri nelle parole scritte.
Devo comprendere con attenzione dove passa il confine tra quello che devo a lei e quello che devo riservare a me stessa, nel tentativo di restituirle l’amore e le attenzioni senza però smarrirmi. Mesi fa ho pianto alla rivelazione che per salvarmi avrei dovuto costruire solidi confini, che avrei dovuto staccarmi dal tepore delle abitudini e delle convenzioni, che avrei dovuto urlare a me stessa, a squarcia gola, "io". Oggi questi confini si sono di nuovo fatti estremanente incerti, labili, fluttuanti e non riesco più ad individuarli, sentendomi perduta in un territorio immenso che non si lascia trattenere dallo sguardo. I miei confini incerti sono quelli tra me e loro, tra me e Molino, tra me e i miei ragazzi. La fatica di oggi è quella di rintracciarli, è l'abbozzare trincee che mi garantiscano una rassicurante separazione, solo per salvarmi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Una condizione priva di confini non assomiglia terribilmente ad una caduta libera?