domenica 31 marzo 2013

Immersioni



Sono di nuovo a Londra da mercoledì sera. Quando ho iniziato a vedere la città, al buio, la sera del mio arrivo, mi sono sentita come accolta di nuovo nel ventre materno, custodita, riparata in una amniotica protezione. Ed è stata una sensazione tanto marcata e palpabile quando inattesa e paradossale, visto che è proprio per prendermi cura di quel ventre che l’ho lasciata, strappata con la più feroce delle violenze, quella della terribile malattia di mia madre. Ed  è come se lei mi accompagnasse in questo ritorno, breve, fugace, ma non per questo meno intenso, è come se la sua voce mi rincorresse a ricordarmi il suo sostegno in quei giorni in cui avevo deciso di restare, in cui avevo scelto di tentare. Di fronte a un padre arcigno e severo, ignara che  l’alieno la stesse corrodendo con una pazienza assassina, ha dimostrato quanto le donne siano più forti e consapevoli di fronte ai distacchi e siano più addestrate a una materna empatia. La mattina il telefono squillava sempre verso le undici in quell’appartamento a Finsbury ed ogni giorno era un ascolto attento e meticoloso: non le sfuggivano mai le mie ansie e i miei sospiri, captava ogni atto di coraggio, riconosceva ogni passo incerto, intercettava ogni entusiasmo e ogni moto di terrore. Registrava tutto, anche le sensazioni più intime e impercettibili. Mi fisso allo specchio di questa camera d’albergo e vedo le mie fattezze trasformarsi nelle sue, è come se fosse qui, a dirmi che, qualunque sia la mia scelta in futuro, lei ci sarà. Penso che a casa ho un lavoro che amo molto, ho i miei ragazzi, ho il mio nuovo inizio grossetano, ho mio padre, Giovanna, Molino. Non è certo poca cosa tutta questa ricchezza. Ma vorrei anche che laggiù, in quel lembo di Maremma, ci fossi anche io, senza dover cercare la metà di quella Barbara che è ancora attaccata a quella città in una sorta di crocifissione infinita. Vorrei risorgere, non dico dopo tre giorni (l’alta considerazione che ho di me non arriva certo fino a simili accostamenti!), ma almeno dopo sette anni. Dopo sette anni mi sembrerebbe di meritarmelo, anche solo come premio a tutti i miei sforzi. E invece no, ritorno. E più che con il corpo, ritorno con la mente, da mesi ormai braccata da questa ossessione. Ogni volta spero di trovare qualcosa che mi faccia desistere da questi folli propositi e invece Londra è sempre uguale e io mi sento sempre più a casa. Avvolta, protetta, finalmente al riparo.
Dopo anni riprendo confidenza con la musicalità della lingua, l’ascolto, ritorno di nuovo a comprenderla, mi dispiace averla persa per non averla coltivata in tutti questi anni, la sento di nuovo mia. Sento che ce la posso fare a sconfiggere quel mutismo che mi sono imposta per fuggire al dolore del distacco.
Stasera, nel racconto del mito di Aristofane, ho capito che quella ad essere tagliata a metà sono io stessa: una parte è stata scaraventata oltre Manica, l’altra è rimasta a casa. Parlano due lingue diverse, hanno sogni inconciliabili, si immaginano diverse fra dieci anni. Il petto, purtroppo, come nel racconto platonico, Zeus lo ha spianato con ineguagliata maestria. Si rincorrono queste due metà, si cercano, si bramano. E allora, visto che quella stronza se ne sta radicata sulla collina di Hampstead e non ha nessuna voglia di venirsi a fare un bagno al mare, la prof. fa la valigia e viene a godere, anche solo per quattro giorni, del piacere impareggiabile dell’autenticità e della completezza. Forse la più importante, quella con il sé.
Ritorno a Crouch End dopo sette anni. E’ bello scoprire come il tempo passi sulle nostre vite e dia loro forme diverse. E’ bello riconoscere, al di là dell’erodere carsico degli anni sui nostri ricordi e sui nostri sogni, come alcune cose siano rimaste identiche. Il pensare che sette anni fa non ti saresti immaginata mai questa nuova immersione e tutti i cambiamenti che ci hanno portato fin qui mi fa davvero comprendere quante siano le cose che sfuggono al nostro controllo, alla nostra capacità di previsione, alla nostra mania di fare progetti. C’è sempre qualcosa che scompagina le carte, ci sono sempre bivi inaspettati. E mi fa capire di come sia davvero tempo sprecato il tormentarmi con quei rosari infiniti di “se avessi fatto” che io continuo a sgranare negli anni. Devo smetterla di battere i piedi contro il destino, devo finirla di tormentarmi. Ma devo anche smetterla di sentirmi perennemente in esilio.


Domani è domenica e spero che ci sia un po’ di sole. Non chiedo una temperatura mite, va bene anche questo freddo gelido che screpola la pelle del viso, ma è sufficiente che non piova. Ancora un giorno e lunedì sono di nuovo in Toscana, a godermi il sole e questa primavera che ha tardato ad arrivare. Per la giornata di oggi ringrazio Crouch End e quel vino cileno che mi ha fatto venire tanta voglia di scrivere. E mia madre.

13 commenti:

Anonimo ha detto...

E' sempre un piacere leggerti, riuscire a vivere quello che scrivi,riuscire a calarsi nella parte...talmente è "trasmissivo" il tuo incedere, la tua voglia di condivisione. Chapeau!

Anonimo ha detto...

I don't know what's going on into your little head...but it's working once again...maybe in the right way!

Anonimo ha detto...

You're sure my head is so little? Which is working? What's the right way?

Barbara ha detto...

Grazie per i vostri commenti. L‘ultimo però non sono io ad averlo postato. la mia testa? Piccola, grande? Mah non saprei...di sicuro sempre in movimento, sempre alla ricerca. A volte in discesa, altre volte in salita, ma spero comunque nella giusta direzione. E sempre entusiasta nell‘intercettare altre “teste“ che non smettono mai di pensare. Sono rientrata da Londra oggi pomeriggio e adesso rumino su queste emozioni. Spero a presto.

Barbara ha detto...
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Anonimo ha detto...

E il penultimo?(3:55AM)L'hai scritto tu?

Barbara ha detto...

No...io scrivo in italiano. E pubblico sempre con il mio profilo. L‘inglese l‘ho abbandonato in questi sette anni e non sono più capace di scrivere così bene.

Catilina ha detto...

Ho avuto un black-out di linea; ricapitolando: io ho scritto 1:43, 7:20 l'ho scritto in risposta a 3:55 by thinking you were the same person!

Catilina ha detto...

Quando si è acquisita una certa padronanza di una lingua, possiamo perderne la consuetudine ma resterà sempre nostra, è come andare in bici senza le ruotine, come andare a cavallo, come suonare la chitarra....se ho ben capito tu hai fatto anche delle pubblicazioni in inglese....pull my trigger, scrivi tu che la penna mi è ostile! P.S. Seneca perché è stato il primo rastafariano del mondo occidentale, Catilina perchè gli spiriti liberi vengono sempre repressi dalla reazione delle circostanze! schiacciato

Catilina ha detto...

Ho capito, il vino cileno funziona meglio di quello maremmano!

Catilina ha detto...

Hai ruminato abbastanza?

Barbara ha detto...

Rumino,ma sono sicura di farlo nella giusta direzione? Mi sembra tutto un girarmi intorno senza senzo. Percorro sentieri già battuti, mi infilo in strade già percorse...Cui prodest? Sto scrivendo, ma questa volta al posto del vino cileno c'è una tazza di latte di soia della Conad e non garantisco il medesimo risultato. Grazie, a presto.

Catilina ha detto...

Non penso che al viso spumeggiante del profilo si addica il latte di soia! Sei più da succo d'uva!(dopo fermentazione).Perchè sei disorientata? Capisco le difficoltà, ma non riesco a credere che tu non sappia cosa vuoi. Bho? Forse sono stato troppo confidenziale...cui prodest? se le stai ripercorrendo non sono strade sconosciute, se non sai dove portano è perchè non sono state percorse fino in fondo! igitur censeo, per essere fedeli, ius questio est si proderit potius quam cui prodest.Rumina ancora!