sabato 26 settembre 2009

Soliloquio

Finalmente trovo una foto che parla di me. Paolo ha bloccato la mia immagine mentre ero accovacciata su una porzione di scoglio a Cesme, nella penisola di fronte a Izmir. E’ una delle poche foto che ritengo autentiche, nella quale mi rispecchio e mi riconosco. Mi piace, mi piace quell’immortalare quei segni intorno agli occhi su una pelle resa imperfetta dall’acne dell’adolescenza, questo mio essere, anche nel volto, un miscuglio imprefetto di adultità e giovinezza, questo sentirmi un ibrido che, nonostante porti i segni della maturità, stenta a percepirsi un intero. Mi piace guardarmi così, vivisezionarmi in un’immagine che mi rappresenta. E questa, davvero, rispecchia proprio la Barbara che sono: il naso a patata, quei geroglifici sulle guance che hanno scritto sul mio viso la lingua perduta della fanciullezza, quel leggero sovrapporsi dei miei denti in un sorriso che sembra quello di mia madre. Appena l’ho vista mi sono persa a contare le mie rughe, quasi a volermi convincere che , in fondo, questo è il mio tempo, quello dei primi bilanci, delle prime somme, delle prime, dolorose e angoscianti perdite. Con lo sguardo perso nei miei stessi occhi, mi concentro sulla mia solitudine, percepita in modo più chiaro e diretto in questo bilocale sulla laguna e mi chiedo come sia possibile che non riesca a interrompere questo apparente maleficio. Mi chiedo dove sia quella Barbara a lungo immaginata e sognata, mi chiedo dove sia quella figlia tanto desiderata, mi interrogo sui tanti propositi e i mille programmi che avevo ideato rispetto al mio domani. Un domani che è diventato un altro oggi. E mi chiedo come possa riconciliarmi con me stessa, come possa pacificare questa lotta tra i tempi del mio essere, che ho violentemente separato e reso incomunicabili. Stasera mi abbandono a questo ininterrotto soliloquio, mi interrogo affannosa alla ricerca di risposte che vadano a stanare quella porzione di coraggio che so essere sepolta sotto questa malinconia, cerco respiro in questa claustrofobia e capisco che devo imparare ad amare questa mia solitudine, a viverla senza sentirmi perennemente mutilata e recisa. Ne cerco la ricchezza nei miei viaggi, ne scovo la forza tra i miei ragazzi, ne rintraccio le infinite risorse negli obliqui rispecchiamenti con gli altri, ma questo non mi aiuta a sminuirne la durezza. E’ stato bello immaginarmi diversa, abbozzare l’immagine dei miei anni da adulta, vedermi e sentirmi madre, immaginarmi con la mia in una genealogia al femminile che tanto ho desiderato. Devo imparare ad amputare questo brandello di antica immaginazione ormai fossilizzatasi nella mia mente. E’ l’unico modo per salvarmi. E per amarmi un po’.

2 commenti:

Prisma ha detto...

Che bello ritrovarmi, nei tuoi pensieri sempre così intensi.

Il naso a patata, la pelle resa imperfetta dall'acne dell'adolescenza - che ancora, mea culpa, purtroppo mi tormenta -, il sentirsi un ibrido, la lotta tra i tempi del proprio essere...
I soliloqui sono spesso necessari, soprattutto quando all'alternarsi delle stagioni del mondo si affianca quello delle stagioni dell'Anima...
...un inabissarsi in noi, alla ricerca di risorse che nemmeno speravamo di avere...

Bk ha detto...

Quella foto è molto bella. Come è bello quello che c'è dentro di te.
Un bacio grande come il mare.