Non
ricordo il giorno in cui abbiamo deciso di piantare i tulipani sotto i
cipressi. La scelta, col senno di poi, non è stata delle migliori, perché il
sole arriva a sprazzi sotto gli “alberi pizzuti”, come li chiamava lei in un
romanesco che ogni tanto affiorava dai recessi dell’infanzia. Eppure ho l’immagine
delle sue mani, così somiglianti alle mie, nella forma delle dita, nel
perimetro delle unghie, nei movimenti delle carezze, che nascondono sotto terra
quei bulbi nodosi, cuori congelati pronti a battere di nuovo a ogni inizio di
primavera e ad esplodere in un giallo intenso. Li vedo, a maggio e a settembre, dare un po’ di colore
a quel porticato. Il colore non era stato scelto a caso. Il suo preferito, un
giallo intenso, caldo, avvolgente. Quando venne a trovarmi nei miei primi, ma mai
dimenticati, mesi londinesi, la aspettai all’uscita dell’aeroporto di Stansted
con un mazzolino di tulipani gialli, comprati al volo in un chiosco vicino casa
a Camden e incartati con un giornale da mani screpolate dal freddo. E gialli
erano gli ultimi fiori per lei, gli unici, i nostri.
Adesso
non so nemmeno di che colore siano le gemme che ornano quella tomba semplice e
squadrata, ci pensano nonna e papà e io li lascio fare, felice di non doverla
visitare laggiù, convinta che i luoghi del ricordo siano altri, sicura di
trovarla nella sagoma del mio corpo, nei lineamenti del mio viso, nel tono
della mia voce, nella forma del mio sorriso. La sento e la vedo lì, sotto quei
cipressi, in mezzo alle macchie di colore dei nostri tulipani. So che adesso
devo traghettare un intero inverno per vederli sbucare, timidi e discreti per poi sbocciare sfrontati e alteri. E l’inverno dei suoi tulipani è anche il
mio inverno. Vorrei sentirmi a casa in quella campagna, vorrei sentirmi accolta
come si sentiva lei su quella collina non lontano dal mare. E invece ogni volta
mi rendo conto che quello non è più il luogo che posso e voglio abitare e che
ho bisogno di ricominciare da capo, in un’altra città, con altri colori, altri
fiori. Perché il cuore che deve sbocciare di nuovo adesso è il mio, rinsecchito
e inaridito sotto la pioggia infinita di questa laguna. E mi sento come se la
uccidessi di nuovo a non amare quella casa come la amava lei. E mi sembra di
uccidere due volte un amore a non voler abitare quelle stanze disegnate con
tanta cura e maestria da chi le abita da sempre. Sono di nuovo alla ricerca di
una casa da abitare. Spero solo che, alla modica cifra dell’affitto che posso
concedermi, riesca a scovare un rifugio per me, con un piccolo balconcino che
dà su una strada rumorosa e trafficata, per ornarlo con qualche tulipano
giallo, per portarla con me nel mio nuovo inizio.
1 commento:
Non preoccuparti, è nel cuore sia il ricordo che la casa che porta con se, anche se non tornerai più in quelle stanze.
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