Sono sopravvissuta a quelli che io chiamo “i giorni dell’Apocalisse”.
In greco, la parola Apokalypsis,
significa “rivelazione” e indica il disvelamento di ciò che è nascosto, l’apertura
di uno squarcio, l’erompere di un
annuncio. Ai miei occhi, una maglia rotta nella rete. La rivelazione di una
estraneità alla vita di questi ultimi anni, il riconoscimento di un inganno, di
una caverna nella quale ero riuscita sapientemente a imprigionarmi, di una rete
di menzogne e illusioni sapientemente intessuta con le mie stesse mani. E' passato un anno dall'ultimo post. Credevo
che il mio lungo silenzio, il mio scrivere poco, a intermittenza,
senza lo scavo e l’interrogazione continua a cui la mia scrittura mi costringe,
fosse indice di rinnovata serenità, di una conclusiva pacificazione, ma era invece il maldestro tentativo di rendermi estranea a me stessa. Adesso
sono costretta a dire che Bafisia aveva ragione quando mi implorava di non
fuggire e non stordirmi in quelle vuote e inconcludenti occupazioni che non
facevano altro che allontanarmi dalla mia anima. Per mesi mi sono trincerata
dietro un lavoro intenso e senza sosta, poi mi sono tuffata in mesi di
allenamento quasi forzato, nemmeno dovessi vincere la maratona di New York, poi
ho cercato di convincermi, con le più svariate strategie, che ero felice, che
non potevo desiderare nient’altro, che dovevo approfittare anche di questa
amarezza perché non ci sarebbe stato niente di meglio. Mi sono impaludata anche in
incontri snervanti di psicoterapia, mentendo alla modica cifra di settanta euro
a seduta. Ho cercato solo cose che mi ovattassero dietro una falsa sicurezza.
Ora, invece, è arrivato il tempo del dolore. Quello pungente, che ti stordisce
come un sibilo improvviso, che ti paralizza e ti rende afona, che ti scuote e
ti costringe a rivelarti a te stessa. E’
arrivato il tempo della paura di fronte a questa nuova solitudine, di questi
trentotto anni che si avvicinano, di queste rughe che iniziano a scavarmi il
viso, di questa maternità che sembra ormai allontanarsi dietro il peso degli
anni. E’ arrivato il tempo del silenzio, quello che scava. Ma questa apocalisse
non era più procrastinabile, a pena di un’infinita amarezza. Terribilmente
necessaria, terribilmente dolorosa. La mia speranza è che sia, oltre a una
rivelazione, anche l’avvento di un nuovo regno, di una serenità ritrovata, di
una sincerità sfrontata. Devo solo imparare a volermi bene, ad ascoltarmi con
attenzione, a non strizzarmi dietro i falsi miti e i vecchi stereotipi. Devo
solo imparare a non essere avversaria di me stessa. Bentornata.
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1 commento:
Ognuno deve fare il proprio percorso, chi sta intorno può consigliare ma il consiglio è sempre un punto di vista soggettivo, non oggettivo.
La luce migliore è quella che ci colpisce dopo il buio, no?
un abbraccio di bentornata!
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