mercoledì 27 agosto 2008

La gallina dalle uova d'oro


Per fortuna almeno una volta all'anno in questo paese si parla, spesso si “sparla”, di scuola. Questo è il periodo fortunato: l'inizio delle attività didattiche alle porte incita molti a riportare all'attenzione pubblica la questione della formazione, con un susseguirsi ansiogeno di interventi e di proposte per migliorare il “sistema scuola” in Italia. Si parte sempre con il tormentone del caro libri, poi si passa agli stipendi degli insegnanti e alla loro formazione, ci si riempie la bocca con la questione della meritocrazia e si fa un gran parlare di adeguamento dei programmi e degli obiettivi didattici. Per la scuola che sta per iniziare e per noi insegnanti (alcuni, come me, ancora in attesa di sapere in quale scuola saranno “sbattuti”) sembra di essere in campagna elettorale, ovvero in mezzo a una gara a chi la spara più grossa. Il ministro fa promesse, assicura grandi cambiamenti, parla di autonomia dei dirigenti scolastici, si fa paladina della lotta al bullismo e si fa bella garantendo nuove e più cospicue risorse per il sistema istruzione. Peccato che quando si tratta di mettere la mano al portafoglio, cioè alla fine e non all'inizio dell'anno scolastico, si dimentica sempre di quanto detto ad alunni, genitori ed insegnanti sotto il sole di agosto e stringe la cinghia. Così noi insegnanti ci troviamo ad entrare in classe in una sorta di ubriacatura di promesse, resa ancora più insopportabile dal solleone di agosto. E sappiamo che cosa ci attende, al di là dei fuochi di artificio di parole a cui Maria Stella Gelmini ci chiede di assistere, quasi per rendere ancora più piacevoli gli ultimi giorni di vacanza. Ma quest'anno la neo-ministra, dal suo cappello di Mary Poppins, non solo ha tirato fuori il sette in condotta e il grembiulino alle elementari (ne vogliamo parlare?), ma ha parlato di educazione alla legalità e alla cittadinanza. Peccato che questa gallina dalle uova d'oro dimentica di far parte di un governo che alla legalità e alla cittadinanza dovrebbe educare per primi i suoi ministri, nonché il suo presidente e che le politiche del suo governo hanno talmente interiorizzato il non rispetto delle regole che i miei alunni dicono che sono comunista solo perchè ne chiedo, al contrario, un rispetto integrale. Buon inizio di scuola a tutti.

lunedì 25 agosto 2008

Che sia presto

Nell'ultimo post ho parlato di mia nonna, quasi invocandone la fine, una fine lenitiva per anni di sofferenze. E' arrivata due giorni dopo le mie scarne e veloci parole, che descrivevano una mente spenta, ormai da molti anni, un corpo incapace di reagire, ma un cuore tenace, resistente, che sembrava opporsi alla morte, avvenuta, in realtà, già anni fa. Ho parlato alcune volte in queste pagine di questa nonna, anzi “La nonna”, invocando gli odori di quelle stanze nei miei primi post londinesi, riportando alla mente offuscata dall'odore dolciastro del fish and chips, le sensazioni di quella pizza appena sfornata che ogni tanto amava regalarci per cena, di quelle polpettine di spinaci che solo lei sapeva fare con così abile maestria. E sapevo, ricordando questo affresco di odori, che le sue mani erano ormai incapaci di creare alcunchè, neppure di offrire un'affettuosa carezza, spente ormai da una malattia impetuosa che cancella memorie, affetti, identità.
Non so dove l'abbia accompagnata il mio ultimo saluto; le mie perdite, quelle che ci sono state e quelle che ci saranno, non sono addolcite (ma lo possono realmente essere i lutti?) dalla fiducia di una vita dopo la morte. Non possiedo consolazioni trascendenti alla fine di ognuno e, incapace di trovare risposte, mi affido a uno scarno libricino che lessi, commovendomi fino alle lacrime, molti anni fa e che, in questa occasione, ho tirato giù dallo scaffale più alto della mia libreria.

«“E' in età di morire”. Tristezza, esilio dei vecchi...Non esiste una morte naturale: di ciò che avviene all'uomo, nulla è mai naturale, poiché la sua presenza mette in questione il mondo. Tutti gli uomini sono mortali: ma per ogni uomo la propria morte è un caso fortuito, ed anche se la conosce e vi acconsente, una indebita violenza...”
Simone de Beauvoir, Una morte dolcissima

mercoledì 13 agosto 2008

A casa

Eccomi di nuovo a casa. Lascio che le energie sprigionate da Berlino e dalla vacanza al mare rilascino gradualmente il loro effetto benefico fino alla fine dell'estate e mi sollevino un po' da terra, dandomi quella leggerezza che spesso mi manca e che fa essere più incerto e goffo il mio procedere. Sono di nuovo a casa, sono di nuovo in Maremma. Ho finalmente lasciato la tana sulla laguna e spero di rinchiuderci dentro anche tutta l'amarezza che gli ultimi giorni di esami mi hanno regalato; speravo di non avere più a che fare con quella scuola, illudendomi di altre possibilità, invece mi trovo a sperare in quell'incarico orbetellano, almeno per lavorare ed assicurarmi un orario (e quindi uno stipendio) completo. In attesa di destinazione mi godo, finalmente, la mia terra e ne assaporo ogni aspetto, gustando il piacere di sentire che le mie radici si stanno irrobustendo ed ancorando al terreno e che la mia mente ha finalmente da tempo abbandonato chimeriche fughe oltre Manica. Già a Berlino ho rafforzato il mio ancoraggio, con quell'amico toscano che mi parlava la lingua di mia nonna, adesso costretta muta, abbandonata dalla mente ma non dal cuore che, tenace, si rifiuta di fermarsi. Che bello risentire la melodia di una lingua antica, dimenticata oramai anche da mio padre che ha sorriso quando ho ripreso i lemmi del suo vocabolario di bambino. “L'ho già marimesso”: “marimettere”, ovvero, in gergo poggibonsese, “aprire per la priva volta”; così in un origami mentale per le strade di Berlino mi sono costruita tutta una chiacchierata con nonna Miranda in un gergo che credevo dimenticato, mentre Francesco invitava Alida a portarsi qualcosa di pesante, “perchè la sera c'è i' ventolino” e anche a Berlino dopo le dieci “si zizzola”.
Ancoraggio che si è fatto più forte anche su quegli scogli liguri, in quell'entusiasmo di adolescenti a goderci finalmente dieci giorni senza interruzioni, treni, arrivi e partenze. E che si fa ancora più tenace di fronte al corpo di mia madre, che sembra chiedermi una maggiore vicinanza, un affetto manifesto e sfacciato, una presenza che scaldi e rassicuri. Anche lei mi sente più sicura e meno sfuggente e la vedo tranquilla, per quello che può, con la battaglia che sta combattendo. E io sono qui e lei adesso lo sa che me ne andrei solo per una città che, anche se non parla la mia lingua, parla la sua. E forse ci andrei anche per sentirmela per sempre vicina.

“Tutti mi dicon Maremma Maremma
e a me mi pare una Maremma amara
l'uccello che ci va perde la penna
io c'ho perduto una persona cara
sia maledetta Maremma Maremma
sia maledetta Maremma e chi l'ama...
Sempre mi trema il cor quando ci vai
perchè ho paura che 'un torni mai
sia maledetta Maremma Maremma
sia maledetta Maremma e chi l'ama...”
("Maremma amara", canzone popolare toscana)

sabato 19 luglio 2008

Berlin

Rompo il silenzio da Berlino. Mese complicato, quello appena passato; mese che mi ha vista impegnata a superare una nuova prova, quella post esami di maturita´. Per digerire le delusioni e le amarezze che quei giorni hanno portato con se´, per depurarmi di tutte le cattiverie che quei "mostri" che abbiamo educato hanno vomitato su di me, mi immergo in questa citta´magnetica, che tanto mi richiama la mia amata Londra e i suoi quartieri che ho abitato. Sono con Alida e abbiamo appena finito di riflettere su questo primo giorno berlinese, intenso e caldo, nonostante il freddo, la pioggia, il dolore ai piedi e la solita emicrania che adesso sto cercando di ammorbidire con il solito difmetre´. La prima impressione e´positiva, la sensazione e´quella di una citta´affascinante soprattutto per chi scorge il peso della storia dietro ogni passo che percorre su queste strade e per chi traduce i simboli che ne marcano ogni fazzoletto di terra. Oggi e´stata una giornata di "ricognizione", un po´a zonzo senza un obiettivo precisa...da domani invece iniziamo a goderci Berlino con metodo, suddividendo giorno per giorno le cose da fare, meta per meta. Ci sono suggerimenti?

lunedì 23 giugno 2008

Girando tra i banchi

La scuola mi offre piacevoli regressioni, anche in questi giorni di maturità. Nell'estate del 1993 la terza prova non c'era, si veniva interrogati solo su due materie scelte (ma vi ricordate il terrore che si provava al pensiero “mi cambieranno la materia?”) e forse l'esame in sé era più facile rispetto a questo, ma identica era la paura, l'ansia di non riuscire al meglio, la paura di non essere valutati per quello che effettivamente avevamo dato negli anni. Quell'estate del 1993, nonostante il peso dell'emicrania iniziata a farsi insopportabile, c'era la leggerezza di una nuova avventura che mi avrebbe atteso, una Pisa all'orizzonte che avrebbe accolto la mia crescita umana e intellettuale, c'erano un padre e una madre pronti ad appoggiare le mie scelte apparentemente insensate, in anni in cui iscriversi a filosofia richiedeva, come oggi, un grande coraggio, anni in cui Nieztsche e Marx sembravano aprirti solo una strada senza sfondo e chiudere ogni possibilità di successo e realizzazione. Quell'estate del 1993 mi presentai agli orali con un vestito lungo a fiori rosa e i capelli castamente raccolti sul capo, come vedo ancora oggi, in quella foto che mamma scattò a me e Molino, interrogati la stessa mattina, mentre ripassavamo le ultime cose prima di uscire, con il documento in mano, attenti a controllare ogni cosa. Che esami ragazzi, che sorpresa. Quel 56 finale che mi sembrò il premio più bello per un'estate di libertà, proemio agli spazi aperti dell'autonomia, anticamera di una nuova avventura tutta da vivere. Che emozione ripensarci adesso, mentre vedo i miei ragazzi ripetere le mie stesse movenze, fumare nervosamente ammucchiati sulle scale a leggere gli ultimi appunti, tremare alla vista di una disposizione dei banchi niente affatto comoda per eventuali e necessari sguardi tra i compiti dei compagni. E che angoscia vederli titubanti su quelle domande, io che ero convinta di aver dato loro una prova davvero fattibile...ma cavolo però, quante volte abbiamo parlato di Eduard Bernstein e del dibattito all'interno della socialdemocrazia tedesca? Nell'attesa che consegnassero, stamani mentre giravo tra i banchi, mi sono riletta la lezione sulla leggerezza di Italo Calvino. Mi sono venute in mente molte cose, magari ne scriverò. Bella giornata, nonostante il mal di testa.
Ah dimenticavo, stasera un pensiero affettuoso va a due compagni di scuola che ho perso di vista lungo il cammino, ma a cui devo un po' quel successo, in quell'estate del 1993: senza Massimiliano e Mariella chi l'avrebbe risolto quel maledetto studio di funzione?
Canzone di oggi, ascoltata a ripetizione: “Disamistade”, Fabrizio de Andrè.
Buoni esami a tutti.

lunedì 16 giugno 2008

Scene di fine anno

Mi sono chiesta, in questi giorni, se io abbia o meno scelto questo lavoro perché mi concede una periodica regressione all’adolescenza, perché mi permette di mantenere vitali i ricordi che mi legano a quei giorni. E mi guardo/ricerco in loro. Certo non è così facile, vista la distanza che separa i nostri anni dai loro. Ma alla fine, al di là di una spessa coltre di travestimenti, le loro paure sono state le nostre, i loro sogni hanno albergato anche nei nostri viaggi ad occhi aperti e le loro ansie hanno reso tormentate le nostre notti.

Prima scena – Non so perché ma le bimbe di prima classico arrivano a scuola prestissimo, intorno alle 7.40. Mi sono chiesta, per tutto l’anno, perché stiano ad aspettare il suono della campanella per un tempo così dilatato. Strano, loro che considerano i minuti di sonno sacri ed intoccabili. Così ripenso alle mie attese davanti al cancello in attesa che il mitico Pampaloni aprisse la porta, per sgattaiolare dentro e sperare nella puntualità di Cristina e anche nella sua umanità nel passarmi la versione di latino o gli studi di funzione. E con la mente a quasi venti anni fa, mi chiedo che cosa ci facciano sulle scale così presto, loro che si passano tutto “via messenger” o via e-mail, con quegli indirizzi poetici o inquietanti…Li guardo ciondolare sulla scalinata davanti alla porta, ricercare in quella sigaretta penzolante dalle labbra una adultità negata dall’anagrafe e ricercata nei gesti simbolici dei grandi, con quei pantaloni che scendono sulla vita e lasciano in mostra le mutandine colorate, con quelle pance scoperte anche nei giorni rigidi dell’inverno, con quei pacchetti di Marlboro che spuntano dalla tasca dei jeans e quelle dita che scorrono velocissime sulle tastiere dei cellulari. Li guardo con quelle cuffiette sempre incastonate nelle orecchie, con quegli I-pod sempre più tecnologici, sempre più potenti, sempre più colorati. Li ascolto mentre modulano il loro dialetto ostentato, mentre inventano lemmi di un nuovo vocabolario intimo e clandestino, mentre si nascondono ai nostri sguardi da adulti. E allora mi chiedo: ma non è, il mio, il lavoro più bello del mondo?

Seconda scena – Mi macchio del peggior difetto per un insegnante: la parzialità. Decido, dopo essermi arrovellata per giorni, di fare un regalino alle mie due “Alunne”, quelle con la A maiuscola. Mi sono sempre impegnata nell'essere obiettiva e, di fronte, ad una particolare simpatia e ad uno affetto marcato ho sempre peccato per difetto e mai per eccesso, magari ho tolto, più che regalato qualcosa. Ma l'affetto non può essere imparziale e i ragazzi non ti danno, né ti chiedono, allo stesso modo. Ho regalato libri, ovviamente, libri diversi, come diverse (direi opposte) sono le destinatarie. Mi chiedo ancora se abbia fatto bene oppure no, se un insegnante può smascherare le sue emozioni. Poi mi dico, “cazzarola Barbara” ma se tu facessi un po' le tue scelte senza macerarti dietro errori presunti, senza scandagliare le tue azioni alla ricerca del passo falso, senza ruminare continuamente sui tuoi pensieri? Comunque A. ha già scritto e dice che trova il libro “incantevole”.

Terza scena – I ragazzi di terza si abbracciano e piangono. E' chiaro, per loro, che questo ultimo giorno di scuola significa la fine di un capitolo. E sono più spaventati che entusiasti a questo cambio di scena. Io li guardo e penso come si farà a far sì che questa classe sgangherata non abbia un tracollo alla prova di greco e riesca a non affondare all'orale. Che classe, che agglomerato di “casi particolari”, come amano definirsi loro. Li guardo e mi chiedo quando cominceranno ad uscire da questo stato indefinito e torno con la mente alla mia indeterminatezza dei loro anni. Cerco di immaginarli fra vent'anni, invento le loro vite in un prossimo futuro, mi nascondo in una trama di ricordi e vado via da quelle aule, da quel continuo brulicare e canticchio una canzone della mia adolescenza:
“Compagno di scuola, compagno di niente, ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu...”

venerdì 6 giugno 2008

Controvento

Ho scelto il silenzio per più di un mese. La colpa non è stata certa del Berlusca, come qualcuno potrebbe intuire dall'ultimo post. Chi, come me, ha avuto una precoce iniziazione alla politica ed è cresciuta in una famiglia di fedeli iscritti al PCI (e suoi derivati) è abituata a perdere. Babbo sopporta le sue ferite post-elettorali con l'abitudine e la perenne convivenza con la sconfitta. La vitale e necessaria "abitudine" di cui parlava quel David Hume che avrei dovuto spiegare ieri, invece di portare i ragazzi a mangiare il gelato. Anche io avrei dovuto abituarmi in tutti questi anni. Anche io avrei dovuto sviluppare naturali e forti anticorpi al dolore, dopo sedici anni di emicrania. Invece non ci riesco proprio a convivere con questo mal di testa, che mi ha lasciato per più di un mese inerme, incapace di non fare nient'altro che imbottirmi di farmaci e scivolare dal letto la mattina, entrare a scuola e cercare di dare comunque il massimo e ributtarmi sprofondata sul divano per tutto il pomeriggio. Di nuovo un mese infernale, difficile da sopportare, che mi ha costretta a questo silenzio prolungato.
Adesso sembra andare meglio, sembra, perchè, come già so, si tratta di una tregua.
Così ieri, mentre correvo sul lungolago di Orbetello e soffrivo la fatica per un insopportabile vento contrario, ho capito che a volte la mia vita è proprio aderente al mio procedere, una faticaccia, in cui cerco di fare il meglio, ma in cui corro sempre controvento. Spero che la tempesta di emicrania mi lasci in pace per un po' e mi faccia "correre" senza arrivare esausta ad ogni traguardo. Un caro saluto a tutti.

martedì 22 aprile 2008

Silenzio stampa

E’ esaurita la mia settimana di “silenzio stampa”. Lo sapevo, lo sapevamo, credo. Credo di poter parlare a nome di molti adesso. Ma quello che mai mi sarei immaginata è una vittoria così schiacciante ed umiliante, nonostante l’andamento della campagna elettorale degli ultimi giorni, così carica di cedimenti, di passi falsi da parte di una destra che mi sembrava aver gettato la maschera per mostrare il suo vero volto arrogante e violento. Certo mai mi sarei aspettata che dopo l’uscita sull’“eroe Mangano”, Raffaele Lombardo sarebbe riuscito a doppiare la Finocchiaro e che così tanti italiani avrebbero scelto, nel silenzio dell’urna, la prepotenza padana.
Adesso sono in attesa, come tutti. In attesa di questi nuovi ministri, con il nome di Sandro Bondi che aleggia sulle nostre teste di poveri insegnanti precari. Inizia anche la riflessione sulle nostre colpe, con tutti che accusano tutti, in una montante comicità che ha dell’assurdo e che passa da Veltroni che dice di non aver avuto tempo, per arrivare a Diliberto che continua a ragionare sui simboli, dimostrando, ancora una volta, il suo totale scollamento dalla realtà. Che Italia. Quella di sempre, mi verrebbe da dire. Perché in fondo, a parte la parentesi delle elezioni del 1976, il nostro paese è sempre stato moderato-conservatore. Sì, a parte la parentesi del 1976, quando apparivano orami aperti quegli spazi di “felicità pubblica” in grado di trasformare il nostro paese. “Paese mancato”, come lo chiama Guido Crainz, “mancato” perché presto fagocitato dalla violenza degli anni a venire e stordito dagli Ottanta che hanno poi partorito quel modello (tutto italiano) che è il berlusconismo. Non riesco molto a scrivere della sconfitta elettorale in questi giorni, nonostante io abbia avuto una precosissima iniziazione alla politica che è presto diventata per me come una seconda pelle. Sarei nuda, senza politica, non sarei la Barbara che sono. Eppure oggi questo antico amore mi rende muta, incapace di emettere persino un sibilo, mentre dentro ho una rabbia che vorrebbe esplodere in un urlo. Guardo i miei ragazzi che mi chiedono che cosa penso di questo risultato e vorrei gridare anche per loro, che, lobotomizzati come sono dalla pseudo-cultura di questa Italia, non sanno neppure che cosa significhi urlare.

domenica 6 aprile 2008

Tutta la vita davanti



La mamma di Costanza mi confessa che la figlia si è innamorata delle mie materie, che le studia con assidua frequenza ed impegno e che vorrebbe iscriversi al corso di laurea in filosofia, fra due anni. Dice anche che è molto timorosa per il futuro e che, sicuramente, alla fine opterà per una scelta universitaria che garantisca, non certo il lavoro, ma almeno qualche possibilità in più. A termine del suo racconto aggiunge: "Sa, lei mi capisce, io le ho anche detto: 'lo vedi quanti sacrifici sta facendo la tua prof!". E’ stato un colloquio che mi ha arricchito molto, che mi ha fatto tornare a casa con il sorriso, con una gratificante conferma che sto facendo bene il mio lavoro, ma anche con tanti pensieri. Torno a pensare alla Barbara del liceo, al suo poter-essere di quegli anni, a tutte le riflessioni e tutto l’entusiasmo e lo scoramento che accompagnarono la mia scelta. Anche per me c’è stato un prof., anzi "il prof.", a cui continuo ancora a scroccare qualche cena, ritenendolo l’unico responsabile della mia “carriera” di docente di filosofia e quindi della mia precaria condizione economica. Insomma, ci siamo accordati per una sorta di “alimenti”, che lui e sua moglie mi passano almeno una volta ogni due mesi, invitandomi a cena e dedicandomi ore sempre incantevoli (anche per il vino…che in casa loro non manca proprio mai…). E mi fa un piacere immenso sapere che io possa essere, per alcuni di loro, quello che Paolo è stato per me: un mentore, una guida, un modello di serietà ed impegno. A proposito, ora che ci penso, sicuramente ci vedremo per piangere insieme sui risultati elettorali di lunedì 14.
Con il pensiero fisso a Costanza lascio la mia mente ripercorrere quegli strani e tortuosi percorsi che mi hanno portato sulla laguna: comincio da quella casa in quella triste periferia pisana che, a vederla oggi, sembra proprio un altro mondo, penso alle lezioni alle scuole private, alla mia esperienza fiorentina, a quella parentesi quinquennale di ricerca all’Università di Firenze che, a parte Londra, ha rappresentato l’atto più oscuro di tutta la commedia della mia vita. Sì, perché fortunatamente, è stata proprio una commedia: bella, divertente, piena di sorprese. E anche oggi, nonostante quei sacrifici che la signora S. usa come minaccia contro sua figlia, credo che non vorrei fare altro che questo e credo di aver fatto bene, quando davvero avevo “tutta la vita davanti”, ad imboccare quel sentiero anziché un altro. Così, dopo tutte queste riflessioni sulle mie scelte passate, me ne sono andata a Roma a vedere l’ultimo film di Virzì con Riccardo e con Alida, che mi ha accompagnato in questo viaggio fin dalla partenza pisana e che, come me, arranca un po’ vicino al traguardo. Sprofondata in una poltroncina di un multi-sala, mi sono goduta il nuovo gioiellino di Virzì (maledetti toscani, direbbe qualcuno!) ed ho deciso che inviterò la mia alunna a vederlo. Non so che effetto le farà: è probabile che la spaventi ancora di più o forse, che la porti a credere che, in fondo, potrebbe valerne la pena. Qualunque sarà la sua scelta, invidio la sua età così infarcita di incertezze e di paure, ma così piena di possibilità e di strade da imboccare e mi piace pensare che, forse, di fronte a quei bivi, anche un po’ della mia filosofia spicciola servirà a qualcosa. Brava Costanza e bravo Virzì, che ci hai offerto allo sguardo una delle nostre, tante, indistinguibili, caverne platoniche (ma proprio una mamma che muore di cancro dovevi metterci, per farmi commuovere fino alle lacrime???)


Culodritto, cosa vuoi che ti dica?
Solo che costa sempre fatica
e che il vivere è sempre quello, ma è storia antica, Culodritto... …
dammi ancora la mano,
anche se quello stringerla è solo un pretesto
per sentire quella tua fiducia totale che nessuno mi ha dato o mi ha mai chiesto;
vola, vola tu, dov’io vorrei volare
verso un mondo dove è ancora tutto da fare
e dove è ancora tutto, o quasi tutto...
vola, vola tu, dov’io vorrei volare
verso un mondo dove è ancora tutto da fare
e dove è ancora tutto, o quasi tutto, da sbagliare...
Francesco Guccini, Culodritto

venerdì 28 marzo 2008

Ritardi

Ho vissuto queste vacanze di Pasqua appena passate in maniera intensa, godendomi la mia amata Follonica e il suo odore di mare, senza nessuna nostalgia o voglia pazza di rintanarmi nella tana di Orbetello, al puzzo della laguna. Mi sono goduta la mia casa in campagna, nonostante i mille disagi, mi sono goduta, consumandola con le coccole, una mamma sempre più stanca ed in attesa di un nuovo ciclo di chemioterapia. Ho però vissuto questi giorni con un nuovo, inedito e direi fastidioso senso di ritardo, con una strana sensazione di essere "fuori tempo", rispetto a che cosa non so. O meglio lo so, ma non l'ho ancora decantato e messo attentamente a fuoco nella mia mente ovattata. Sono in ritardo rispetto all'immagine di Barbara nel 2008 che mi sono costruita durante la mia adolescenza e sono fuori tempo rispetto a tutte le persone care che realizzano ciò che a me sembra sfuggito di mano: una casa che parla di loro, una coppia stabile, un bambino o una bambina che sgambettano per casa. Mi chiedo, adesso, se questo sia davvero ciò che voglio o se sia solo un sentiero interrotto, uno di quei tanti sogni irrealizzati con cui devo fare, nolens volens, i conti. Con questo pensiero che non lasciava la mia mente smettere di ruminare, mi sono messa a cercare un articolo di giornale tra i tanti che ritaglio in maniera maniacale ad ogni lettura quotidiana. Non l'ho trovato (dove diavolo si sarà cacciato???), ma ho scovato una striscia di carta con un bel bezzo di Dario Voltolini, pubblicato sul "La Stampa" alcuni giorni fa. L'ho riletto ed ho pensato di trascriverlo. Riflette bene le mie sensazioni di questi giorni, nonchè un'ansia congenita che mi si scatena tutte le volte che sono a Roma a trovare la mia dolcissima Alida.

"In occasione della Giornata Mondiale della Lentezza mi è tornato in mente un ricordo di qualche anno fa. Mi trovavo a Roma, dove ero andato a fare visita a un amico. Questo amico, un giornalista molto preparato e professionale, doveva raggiungere un luogo in centro città dove era prevista per le 10 di quella mattina una conferenza stampa. Alle 9.30 eravamo ancora a casa sua, da tutt'altra parte della città. Io già mi stavo un poco agitando, come se fossi - io! - in ritardo. Ma l'amico mi tranquillizzava: 'A Roma diciamo le dieci per dire le dieci e trenta, o anche undici meno un quarto'. Alle 10 mi sembrò che fosse comunque ora di muoversi. Ma lui: 'Sì, sì, adesso scendiamo al bar e facciamo colazione, poi ci vorranno dieci minuti, un quarto d'ora'. Venti minuti dopo ero molto, molto in ansia. Lui mi guardava divertito: 'Questi del Nord...' vedevo che pensava. Entrammo al bar alle dieci e quaranta. Fatta colazione, ci dirigemmo verso il centro. Arrivammo alle undici e mezza. La conferenza stampa era finita da un pezzo. Il mio amico si rabbuiò. Non tanto per il suo ritardo, anzi, per quello proprio per niente: era indispettito invece dal fatto che quelli avessero già finito. Cercò di scusarsi con me per la pessima prova che la città aveva dato. "Che imbecilli", disse. "Ora devo leggermi tutta la cartella stampa per scrivere il pezzo!'. Questo ricordo mi permette di osservare come a nulla serva muoversi con lentezza, se gli altri sono veloci. Ma soprattutto, che la lentezza non è salubre se noi ci sentiamo in ritardo, mentre lo è se consideriamo gli altri come nevrotici istericamente in anticipo. Io, per esempio, mi sento sempre in ritardo, pertanto vivo la mia lentezza e la mia pigrizia in modo tutt'altro che riposante. Il massimo che ne ricavo sono certe scuse deboli. Per dirne una, avrei potuto sviluppare riflessioni molto più profonde di queste sulla Giornata Mondiale della Lentezza, osservare che dopo Einstein un concetto come la Lentezza preso da solo non significa nulla, citare coltamente Nadolny, svelare come lo sponsor ufficiale della ricorrenza fossero le nostre Ferrovie dello Stato, smascherare l'ipocrisia di chi vole vivere lentamente purchè il proprio computer diventi ogni giorno più veloce, e così via.
Ma purtroppo avevo poco tempo e il pezzo andava consegnato tempestivamente...e insomma, ho dovuto fare in fretta..."
Bravo Dario Voltolini.

giovedì 13 marzo 2008

Paradosso vivente

Spiego ai ragazzi di seconda la filosofia di Blaise Pascal e li vedo rapiti, come ero io alla loro età, di fronte ai suoi "Pensieri", a "quell'officina in pieno disordine" che sono i suoi appunti pubblicati postumi dai suoi allievi. Li vedo annuire, ascoltare in religioso silenzio (quando mai?), confrontarsi tra loro, chiedere. Mi soffermo con più attenzione sul tema dell'uomo come "paradosso vivente", come eterna contraddizione, come desiderio frustrato, come anelito verso un qualcosa che sempre si cerca e mai si raggiungerà.
Metto sempre un po' di me stessa nelle mie lezioni, cerco sempre di amalgamarmi con loro e con le riflessioni che cerchiamo ogni volta, con risultati ondeggianti, di costruire. Così stamani pensavo al mio paradosso, alle mie eterne contraddizioni. La primaria, non ancora diluita nella stabilità dell'età adulta, tra istinto di fuga e necessità di radicamento. Comincio ad essere stanca di questo nomadismo a cui mi condanna questo lavoro, sono esausta di non avere una casa mia, che parli di me, sono stanca di spostarmi ancora con pacchi e valigie e di sentirmi apolide, ovunque mi trovi. Sono stufa di questa sensazione di essere una eterna "fuori posto": a Firenze, qui sulla laguna, nella mia città. Vorrei mettere radici, vorrei trovare uno spazio da abitare con il corpo e con la mente, vorrei sentirmi a casa. Eppure, nonostante questa voglia di restare, sono notti che sogno il viaggio, di nuovo, come anni fa. Se riesco a non sognare le strade londinesi, sogno comunque una partenza, di solito in macchina, al buio, sola, impaurita ma decisa. E ripenso a Kafka, alle letture di anni fa, allo spirito della fuga che segnò un salutare rischiaramento. Ma dove me ne voglio andare? Con quali strane sensazioni mi trovo oggi a combattere...a volte vorrei essere inghiottita da questa terra, assorbita nel ventre materno, incollata al qui ed ora di questo momento che vorrei interminabile. Altre volte sogno vele aperte ed un vento forte che mi spinga al largo, anche se incerto e nebbioso. E così se oggi vorrei essere strozzata da questa rete ed immobilizzata all'oggi, so già che domani (o meglio stanotte, nella sincerità dello spazio onirico) cercherò avida una piccola maglia da cui balzare fuori.
Per adesso me ne torno in classe e penso che la maglia rotta nella rete, quella vera, l'ho individuata in quel maggio 20o6 quando ho chiuso la porta di quel maledetto Dipartimento. E già mi viene da ridere e da impazzire da gioia.
Vorrei scrivere di molte cose, ma sono così incostante in questi giorni.

martedì 4 marzo 2008

L'estate di Vermicino

Quando Riccardo mi confidò di essere nato nel 1980 io commentai così: “L’anno di Alfredino Rampi”. Non so bene per quali tortuosi giri della memoria, ma il mio pensiero andò a Vernicino e a quella ferita nella mia anima di bambina delle elementari che non so bene se si sia o mai rimarginata. In realtà la mia risposta non fu corretta: mi ero sbagliata di un anno, perché Alfredino fu inghiottito nel giugno del 1981 e, dopo alcuni giorni, morì la sotto, in quel pozzo artesiano di trenta metri che famelico se lo inghiottiva di ora in ora e lo divorava strappandolo alle mani ossute di quegli esilissimi speleologi che invano cercarono di riportarlo a sua madre. Ogni giorno sembrava che il piccolo avrebbe rivisto presto la luce del sole, il cielo dei castelli romani, risentito la voce della madre che la scaraventava in fondo a quel pozzo nella speranza di tranquillizzare il suo piccolo sparito laggiù. Invece le ore si susseguivano, i grandi incollati al teleschermo a scrutare le imprese di chi si calava in un buco largo appena trenta centimetri, sperando che Alfredino fosse lì, a portata di mano. E noi piccoli a chiederci quanto crudele fosse quella terra su cui camminavamo tranquilli se era davvero capace di divorare i bambini che su di lei muovevano i primi passi. Ricordo che quando Alfredino morì, a trenta metri di profondità, io non riuscivo più a giocare in campagna come ero solita fare. Ricordo che la Barbarina di quell’estate, in quella casa fuori città che adesso abito da sola quando non sono ospite della laguna, circondata da campi di grano, da frutteti, da vigne e da oliveti, non aveva la forza di giocare da sola per paura che la terra si aprisse sotto i suoi piedi e non la lasciasse più tornare in superficie. Vedevo buchi neri e profondi ad ogni passo, immaginavo voragini senza fondo nascoste ovunque ed ho continuato a pensarci per un bel po’, fino a che gli anticorpi di noi bambini non hanno spazzato vie le paure e le angosce di quel giugno 1981. Non avrei davvero pensato, dopo Alfredino, di provare la stessa identica angoscia di fronte a bambini inghiottiti dal buio. Di fronte ai fratellini di Gravina bloccati in quella cisterna mi si blocca il respiro e credo che tutti abbiano provato la vivida angoscia che si vive di fronte all’impensabile e all’assurdo. E magari, qualcuno, come me, di fronte a due innocenti Alfredini, ha riscoperto una ferita ancora aperta nella memoria e mai cicatrizzata.

giovedì 28 febbraio 2008

I silenzi di febbraio

Sta per finire questo febbraio pieno di silenzi. Ieri ha telefonato Cristina per sapere se fosse accaduto qualcosa di grave, visto che non trovava più parole con assidua frequenza. Le ho spiegato che ogni cosa è al suo posto, ossia ogni cosa è incasinata come al solito, ma che tutto sta andando bene. Non ho più la connessione con la Tim, vista la difficoltà a connettermi e l'inutile spreco di denaro e quindi, potendo utilizzare solo i computer della scuola, non sempre ho la possibilità di godere di un po' di calma e, soprattutto, di solitudine. Eppure avrei davvero voluto scrivere: del rapporto con i miei ragazzi, della mia laguna, delle mie corse e di questa campagna elettorale che mi stupisce piacevolmente. Adesso poi sono alle prese con la vecchiaia incalzante di Bice che, dopo un breve ricovero in clinica veterinaria, è ancora pià affettuosa di prima e riscalda le mie giornate sui libri.
Il Consiglio di classe ha deciso e sarò commissaria interna agli esami di maturità, ma non sono affatto contenta di accompagnare quella classe difficile fino alla fine e mi stupisco di come, da parte loro, ci sia un rifiuto ad ogni minimo sforzo. Eppure il mio lavoro vuol dire anche questo, un confronto serrato e continuo anche con chi si rifiuta di ascoltare. In attesa che qualcosa si smuova e che l'ansia da esame li scuota un po' tutti, mi sono comprata "Diario di scuola" di Pennac. Chissà che non arrivi qualche illuminazione. Adesso c'è una mamma che vuole parlare con me: a parte il fatto che, vista la loro assenza, è bene non farsi scappare questa occasione, non potrebbero rispettare gli orari di ricevimento? Un caro e affettuoso saluto a tutti, spero di tornare presto.

venerdì 15 febbraio 2008

Emicranie

Sono giorni che cerco lo spazio mentale per aggiornare queste pagine virtuali, ma non sono riuscita a racimolare neppure qualche minuto di tregua da questa terribile emicrania che mi affligge da più di una settimana. Sono di nuovo a terra, imbottita di farmaci, capace solo di trascinarmi a scuola la mattina, per poi sprofondare sotto le coperte e restare in letargo fino alla mattina dopo. L'idea migliore sarebbe stata chiamare il medico e concedermi qualche giorno di riposo a casa, evitando anche quelle poche ore mattutine di lavoro. Inutile dire che non riesco a studiare, a leggere, tanto meno a scrivere, inutile dire che, perfezionista come sono per natura, in questi ultimi giorni non sono affatto soddisfatta del mio modo di insegnare, costretta ad improvvisare sui classici canovacci delle mie conoscenze.
Peccato che non sia riuscita a scrivere, sarebbero state tante le cose su cui soffermare le mie riflessioni. Le mie incertezze e i miei entusiasmi a scuola, le novità di questa campagna elettorale, la paura, tutta femminile, di affrontare questa nuova crociata contro la 194. Spero di ritrovare presto il filo di Arianna per uscire da questo labirinto e riprendere presto la trama delle mie riflessioni e dei miei racconti. A volte penso a quanti siano gli anni di convivenza con questa "malattia", penso ai controlli, ai medici, alle terapie mai efficaci. Adesso è il tempo del Laroxil, cinque gocce prima di dormire, ma non serve a placare la sua arroganza, serve solo a darmi un senso di spossatezza che mi fa sentire fiacca per tutto il giorno seguente. Così aspetto che la dieta di nuovo appena iniziata mi regali un po' di calma e nell'attesa corro a Roma da Alida nel tentativo di non pensarci per un po', di svagarmi da questa amarezza. E sono felice che sia Alida a regalarmi un po' di tregua, sono felice di non averla perduta nel corso degli anni, nei nostri giri tortuosi alla ricerca di noi, in mezzo a tutte quelle città che abbiamo abitato. E sono stupita di come riesca a colorare di sè ogni spazio che abita, anche il più concentrato, come questa scrivania nell'ufficio della casa editrice dove lavora, che mi sta ospitando per qualche minuto appena arrivata nella capitale. Stasera andiamo a teatro e poi a ballare...speriamo 'm bene, si dice in Toscana.

mercoledì 6 febbraio 2008

Un gatto che si morde la coda

Torno a scherzare con Alida sulle mostruosità linguistiche che proprio non ci vanno giù. Torno a pensarci oggi, dopo aver costretto i miei studenti ad una lezione a scuola sul senso del linguaggio e i suoi limiti. “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”: ripeto spesso questa frase di Wittgenstein ai miei ragazzi per convincerli a non richiudersi nelle strettoie del dialetto, del linguaggio comune, delle sciattezze linguistiche a cui tutti siamo ingenuamente esposti. Mi guardano con quegli occhi spauriti, allora passo a Orwell e alla “neolingua” di “1984” e, dopo aver constatato che anche così non riesco a risvegliare le loro menti addormentate della prima ora, concludo con l’ultima arma, un Don Milani appena sdoganato in quell’ibrida cultura del Partito Democratico. E allora racconto loro come il sacerdote scomodo invitasse i suoi ragazzi di Barbiana ad imparare, ad arricchire i propri vocabolari, perché “una parola che non sapete oggi è un calcio in culo che prenderete domani”. Capiscono, il “calcio in culo” prima li sveglia e, poi, dopo poco, li convince.
Il problema però è che oggi i nostri vocabolari, anziché assottigliarsi come previsto nella distopia orwelliana, si dilatano a dismisura, andando ad accogliere espressioni, formule, modi di dire a dir poco insopportabili. Ad usarle, poi, non sono solo quindicenni di un liceo di provincia (a cui molte cose possono essere perdonate), ma intellettuali, giornalisti, artisti. Così io e Alida ci siamo messe ad elencare quelle mostruosità espressive da cui tutti sembriamo contagiati. In cima alla classifica sta quell’odioso “piuttosto che”, usato in funzione disgiuntiva, che oggi sembra andare tanto di moda. “Quest’estate andrò in Corsica piuttosto che in Croazia”, dice qualcuno. Ok, allora io non so più parlare la mia lingua e il mio italiano è invecchiato “piuttosto che” impreciso, se io proprio non riesco ad usare “piuttosto che” in questo modo. Alida mi fa notare che martedì scorso anche Anna Finocchiaro lo ha usato, ma a lei perdoniamo tutto: “certo se alle primarie si fosse candidata lei, piuttosto che Veltroni, l’avremmo votata”…e così è corretto. Al secondo posto della top ten sta l’insuperabile “tra virgolette”, ovviamente accompagnato da indice e medio che si flettono a intermittenza, subito seguita da “a 360 gradi” e “a tutto tondo” (“ti offre una precisione a trecentosessanta gradi”, “una visione a tutto tondo”, “foto a tutto tondo”, “vi presentiamo adesso una intervista a tutto tondo con”….aiuto!!!!!).
Visto che viviamo una vigilia affannata di campagna elettorale, che dire di quel “ha deciso di scendere in campo” che, nel 1994, marcò la decisione del Berlusca di impegnarsi in politica?
Ma presto io e Aliduzza decidiamo di inoltrarci nella giungla intricata del “linguaggio informatico” e cerchiamo di ricordare tutte quelle odiose formule così inflazionate nel linguaggio di oggi che derivano dalla nostra confidenza con il mondo dei computer. Iniziamo così un’altra classifica, che continuiamo ad aggiornare, essendo “una strada senza sfondo”: si inizia con l’odioso “di default”…ma che vuol dire? Ma si può usare un’espressione più brutta? “Stasera il vino è di default”, poi si continua con “abbiamo molti link in comune”, “ci interfacciamo bene”, per poi concludere (scoperta di questi giorni) con “sono in loop”. “Sono in loop”?????????? Giovanna dice che il significato è sentirsi in uno stato d’animo bloccato, essere in una situazione da cui non riesco ad uscire e…visto che non capivo bene e vista la mia ignoranza in materia, ha pensato bene di farmelo capire dicendo: “insomma Babi, è un gatto che si morde la coda!”. Nooooo, vi prego noooo, anche “il gatto che si morde la coda" nooooo! Voi che dite?

domenica 3 febbraio 2008

Supplica a mia madre

Riemergo da un difficile fine settimana ed aspetto con ansia l’arrivo di domani, per perdermi tra le chiassose voci dei miei studenti che mi stordiranno con i racconti della settimana bianca da cui sono tornati proprio stamani. Ho bisogno di loro adesso, della loro giovinezza e del loro entusiasmo, ho bisogno del loro calore per allontanare da me, almeno per qualche ora, gli angosciati pensieri sulla malattia di mia madre, pensieri che fuggo ma che riescono sempre a raggiungermi, a bloccarmi nella strada senza sfondo delle mie paure ed a schiaffeggiarmi con la più inaudita delle violenze. Mi sono concessa ancora due notti con lei, sfrattando babbo nel lettino che ha cullato i miei sogni di bambina e di adolescente, e ho cercato nel contatto dei corpi di ricomporre una simbiosi incrinata alla nascita, ma mai completamente frantumata da quel momento fisico di rottura e di separatezza. Ma il suo corpo stanotte non era il suo e ci ha obbligati tutti ad un sonno spezzettato, alla ricerca di cogliere ogni minima richiesta di sostegno, di alleviare la solitudine dei suoi affanni. Giovanna chiama in continuazione, sapendomi qua sulla laguna a battagliare con le mie paure, ed io mi perdo in lei, nella sorellanza che ci unisce, approfittando della sua vicinanza per frantumare le mie inquietudini. Cerco di sbriciolare le paure e di condividere i bocconi amari del mio dolore, nell’irrazionale tentativo di alleviarne le ustioni e di renderlo più tollerabile. Ma tutto questo è più grande di ognuno di noi e, per quanto mi sforzi, non riesco a buttarne giù neppure un frammento. Sento, al contrario, che qualcosa dentro si spezza, sento che questo distacco, quando avverrà, sarà la cosa più grande di tutta una vita. Scusate, so che le parole di stasera sono pesanti come il piombo, ma anche questo è un modo per alleggerirmi…

E' difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame
d'amore, dell'amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

Pier Paolo Pasolini, Supplica a mia madre.

giovedì 31 gennaio 2008

A come assoluzione

Assolto. Ci mancava questo nuovo schiaffo dato forte a questo paese in bilico. Una udienza sbrigativa, in un momento in cui il Biscione ha bisogno di acquistare credibilità e legittimità, più di quante non gli siano già riconociute da questo elettorato, in vista della violenta campagna elettorale che ci aspetta.
La sentenza però non è di assoluzione, ma di proscioglimento. Sì, perchè quella faccia da culo è stato prosciolto dal reato di falso in bilancio perchè questo non è più considerato reato dalla legge: quella che nel 2002 la maggioranza dell'allora premier Berlusconi fece approvare mentre il processo era in corso. Appena emessa la vergognosa sentenza, l'azzurra Biancofiore ha commentato: "qualcuno dovrà chiedere scusa". Come non essere d'accordo, sarebbe proprio il caso che qualcuno lo facesse, che chiedesse scusa per la furbizia mascherata da arte politica, per l'arroganza e la sfacciataggine ostentate. Vorrei qualche scusa da chi viene prosciolto dopo aver legiferato a suo favore (povero il mio Rousseau!), da chi offre cannoli alla Sicilia dopo essere stato condannato a cinque anni e solo tardivamente, spinto chissà da quali pressioni, si dimette; da chi offende quotidianamente l'onestà morale e intellettuale. E anche il mio caro governo Prodi, che sono certa rimpiangeremo presto, deve chiedere un po' scusa. Per essersi fatto sfuggire ancora una volta l'occasione di dare un volto di reale democrazia a questo paese e di aver lasciato nel cassetto la legge sul conflitto di interessi. Devi chiederci scusa perchè adesso dovremmo affrontare una nuova campagna elettorale, con le stesse vecchie dinamiche del 2006. Che Dio ce la mandi buona.


sabato 26 gennaio 2008

Immersioni

Venerdì e sabato di piacevoli immersioni. Mi immergo nella mia città, abbandonata la tana sulla laguna per tornare, anche se solo per un giorno, in uno spazio che fuggo con folle irrazionalità. Mi immergo nella mia corsa, ieri sera sul lungomare illuminato, concentrandomi sui miei passi e sulla mia ombra in movimento proiettata sull'asfalto. Mi immergo in mia madre, tutta la notte, quasi a cercare un'originaria simbiosi che mi protegge da questa naturale separatezza. Immersa di nuovo in lei, ricevo dal suo inaspettato coraggio uno schiaffo ai tentennamenti di questi giorni e vedo nelle sue mani, nei suoi capelli diradati e nel suo viso, non più scarno, così alterato dal cortisone, un richiamo a sorridere, nonostante le lacrime di questo inizio anno. Stamani mi sono invece concessa una immersione in questa casa, sola come sono adesso e mi sono buttata in una affamata e curiosa lettura dei miei diari di adolescente, che mamma ha miracolosamente scovato nelle sue continue pulizie di queste stanze. Diari degli anni 1989 e 1990, così stracolmi di ritagli di giornali, di commenti sugli eventi di quegli anni di ebrezza rivoluzionaria, infarciti di lettere di amiche, compagne di classe, pieni zeppe di parole d'amore per un giovanissimo Molino appena scoperto. Mi sono proprio concessa un'ora di avida lettura, per scoprire la Barbara di quei primi anni di liceo, con la mente rivolta alle mie ragazze di Orbetello, nel tentativo di rintracciare sorprendenti corrispondenze. Bella questa inversione mattutina in un ieri ancora presente nei miei ricordi.
In attesa di immergermi nelle vie di Roma e nell'entusiasmo di quel vulcano di Alida, per adesso mi immergo per davvero in una vasca da bagno stracolma di bagnoschiuma, visto che sulla laguna ho solo la doccia e, per quanto comoda e veloce, proprio non vince il confronto con la vasca piena di bollicine e di bagnoschiuma.
Appena finito cerco di superare i miei dubbi e le mie incertezze e corro a votare per i comitati civici del PD, sentendomi male al pensiero di quello che verrà.

giovedì 24 gennaio 2008

Lentamente muore

Appena comunicata la notizia della fine del governo Prodi. Mi ci vorrebbe una canna gigantesca, come quella che Moretti si concede dopo la vittoria di Berlusconi nel 1994, in quel gioiello del suo cinema che è “Aprile”. Visto che me lo aspettavo, e non potevo godere di un cannone alla “Moretti”, di Moretti mi è bastata una birra, di quelle giganti. Bravo Romano, hai seguito la scelta della parlamentarizzazione della crisi, come avviene in ogni serio paese civile e rispettoso delle regole e delle istituzioni. Non nego che mi sto sentendo male. Stamani ai miei studenti di centro destra ho chiesto di non venire a scuola domani, perché so che mi sfotteranno, nel loro modo comunque amichevole e rispettoso, e so anche che abbandonerei la mia solita correttezza liberale e farei una strage. Ovviamente loro sanno che scherzo, ma credo che, se verranno, mi rispetteranno in silenzio. Almeno lo spero. Da come mi sento adesso mi verrebbe voglia di mandare un certificato medico falso, cosa che non ho mai fatto, anche se sono certa che ogni medico certificherebbe il mio stato comatoso. “Lentamente muore” è la poesia di Neruda che quell’inquisito di Mastella ha letto oggi dal suo banco del Senato. E’ morto lentamente questo governo, paralizzato da una visione politica miope, riduttiva, che lo ha letteralmente paralizzato. Peccato, credo che si sia persa un’ottima occasione. E’ morta lentamente l’“Unione” e mi chiedo, adesso, quando il Pd abbia aiutato o meno questo tracollo. Ma sono rinati i democristiani. Cazzo, alla fine i democristiani si vedono, vengono fuori, risorgono al di là di ogni strato di novità, al di là di ogni camaleontica trasformazione. Ed hanno votato contro, magari pensando a cosa potranno guadagnare nel passare dall’altra parte. Oddio che serata. Correggo i compiti dei ragazzi di seconda e penso che, una volta che tornerà il nano e che Buttiglione sarà Ministro della Pubblica istruzione, se vorrò diventare un’insegnante di ruolo dovrò abbandonare la filosofia e darmi alla religione. Forse avrò qualche possibilità. Voi come state?

lunedì 21 gennaio 2008

Fartlek per Ansedonia

Giornata grigia, quella di oggi. Ma non abbastanza da impedirmi di uscire a correre prima di pranzo, appena finita la scuola. Ritorna, in questo inizio di nuovo anno, la passione e l’amore per una cosa antica, che così fortemente mi lega a mio padre che, da anni ormai, mi invita a macinare chilometri. Sono un po’ fuori forma rispetto alla Barbara dello scorso anno, ma ho anche un buona memoria nelle mie gambe e non faccio fatica a recuperare. Ancora una volta, la mia corsa mi aiuta a capire come impostare il percorso parallelo, quello della mia vita. E così oggi mentre guardavo i miei passi seguirsi l’uno all’altro capivo come i giorni, i mesi e gli anni seguano lo stesso monotono avvicendarsi, fino al traguardo, che ci sarà, prima o poi, nonostante si vorrebbe che la nostra fosse una maratona interminabile. Ho corso bene, lungo la strada in campagna che collega Orbetello ad Ansedonia ed ho impostato un fartlek per recuperare, oltre ai muscoli, anche un po’ il mio cuore, non più abituato agli sforzi continui. E mentre correvo, per spurgare fuori le rabbie e le delusioni accumulate ultimamente, ho capito che anche la mia vita va impostata come un fartlek, accettando cambi di ritmo e di velocità e lasciando che il mio cuore si moduli su un battito incostante, accelerato nelle salite e pacato nelle discese. Non si può impostare un allenamento sulla medesima frequenza. E come devo abituarmi a correre a tratti, così devo imparare ad accettare i miei cambi di umore, le mie paure, le mie forti emozioni che costringono il mio cuoricino ad un bell’allenamento, tanto quanto i chilometri per Ansedonia. E come al solito, ci sono sempre gli aironi.

Musica di oggi: Goran Bregovic, Ederlezi

domenica 20 gennaio 2008

L'altra metà

Cerco di mettere ordine tra i pensieri, cerco di mettere in ordine le mie stanze. Il disordine della mia mente si rispecchia nel disordine del mio luogo, dei miei luoghi. Non riesco a tenere ordinata questa casa, nonostante gli innumerevoli sforzi. Ho libri sparsi dappertutto, fogli e articoli ritagliati ammucchiati sul tavolo, ogni spazio libero occupato da decine di volumi. Oggi ho deciso di sistemare un po’ le cose e ci sono riuscita: ho una casa che brilla, con i libri tutti sistemati in fila, dal più grande al più piccolo, in ordine di argomento, disposti in maniera quasi maniacale. Chissà se riuscirò nei prossimi giorni a fare ordine anche tra i miei pensieri, sistemando le mie continue considerazioni, le mie ambigue riflessioni, tutte ammucchiate l’una sull’altra nella mia testa, così confuse da rendersi illeggibili, così contraddittorie da annullarsi a vicenda. Poi riflettevo sul fatto che solo una cosa non sono riuscita ad ordinare: i calzini. Ho una busta piena di calzini “single”…io mi chiedo dove vadano a nascondersi gli altri, dove possa andarli a stanare, in quale buco, quale cassetto, quale sacca della palestra si saranno conficcati. Sembra quasi impossibile, ma in questi pochi mesi orbetellani sono riuscita a collezionare già una decina di calzini scompagnati, ignari di dove si sarà nascosta la loro metà. E anche questo mi sembra un simbolo eloquente delle sensazioni degli ultimi giorni….
Musica di oggi: Ludovico Einaudi, Le onde

mercoledì 16 gennaio 2008

Aria di Controriforma


Cerco spesso di spiegare ai miei ragazzi come la storia della Chiesa sia anche una storia di simboli. E’ attraverso i simboli che si veicola un messaggio, si concretizza una Weltanshaung, si invia un messaggio ai fedeli e al mondo intero. Nei giorni scorsi, nell’apparente neutralità di un gesto, si è invece materializzata un’aria di controriforma. La sento già da un po’ di tempo aleggiare sulle nostre teste, scompaginare la carte, spazzare via quel residuo di laicità che ancora resta nel nostro paese. E così mentre tutti discutono e sparlano sul papa in visita all’Ateneo romano, poche voci si sono alzate in riflessione sulla messa di domenica scorsa, celebrata da Ratzinger nella Cappella Sistina. In questa occasione Benedetto XVI ha eliminato l’altare mobile usato dal suo predecessore ed ha officiato la messa con le spalle rivolte ai fedeli, in perfetto stile preconciliare.
''Si e’ ritenuto - spiega una nota dell’Ufficio Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice - di celebrare all’altare antico per non alterare la bellezza e l’armonia di questo gioiello architettonico, preservando la sua struttura dal punto di vista celebrativo e usando una possibilità contemplata dalla normativa liturgica. Ciò significa che in alcuni momenti il Papa si troverà con le spalle rivolte ai fedeli e lo sguardo alla Croce, orientando così l’atteggiamento e la disposizione di tutta l'assemblea". Dobbiamo credere che sia solo un caso, che la scelta risponda solo ad una volontà di contemplazione artistica? D’altronde, già prima di salire sul soglio pontificio, l’illustre teologo non aveva mai fatto mistero di nutrire profonde contrarietà sulle scelte introdotte dal Vaticano II. Sarà pure un simbolo, sarà pure un gesto come un altro, ma la storia della Chiesa ci insegna che i simboli hanno il loro senso e il loro profondo significato e io non lo passerei così troppo sotto silenzio, soprattutto se fossi cattolica e se mi spaventasse, cosa che spero succeda a molti, un ritorno di un intransigentismo retrivo e conservatore. Non so se avrei o meno manifestato insieme agli studenti della Sapienza contro la visita del Papa, ci sto riflettendo da ieri sera, appena appresa la notizia. Se è vero che il forte rifiuto alla visita del pontefice tradisce il senso stesso dell’Università, lo scambio culturale, la ricerca e il dibattito fecondante, è però anche vero che forse un segnale qualcuno avrebbe dovuto lanciarlo contro chi vuole avere l’ultima parola su tutto, contro chi si fa paladino di una Verità assoluta, contro chi è portavoce di un cattolicesimo post-tridentino, contro chi addirittura nega il funerale religioso a Piergiorgio Welby. A livorno si direbbe: Oh Razzinghe, alla fine e ci siamo anche un po’ frantumati ‘i coglioni! Scusate la finezza da prof. A proposito di Livorno: la vignetta su Benedetto XVI è tratta da "Il Vernacoliere"…..per la precisione…

venerdì 11 gennaio 2008

L'Abracadabra del Gran Magro

Appena riemersa dall'urlo della foresta mi sono trovata a dover combattere, tanto per cambiare, con una prolungata crisi di emicrania che mi ha costretto al silenzio. Non ho scritto, ma sono riuscita a leggere, negli esigui spazi di lucidità. Ho quasi terminato Bufalino e l'ho trovato davvero molto bello, anche se violento per la Barbara di questi giorni, sempre in conflitto con la morte che minaccia la vita di mia madre e che è così presente nelle pagine dello scrittore siciliano. Trascrivo qui l'"Abracadabra" del Gran Magro, strano modo per comunicare al protagonista che, tra gli ospiti della Rocca, solo lui sfuggirà al destino di morte e che romperà il patto di non sopravviversi.

"Ma dimmi, conosci la storia dei tre ladroni e dei cinque cappelli?"
"No" risposi, anche se era la terza volta che tornava a propormi l'abracadabra, e, quasi per scoraggiarlo dal proseguire, misi a caso sul grammofono un disco. [...] "I tre" disse "sono condannati a morte. Da un potente, in un tempo antico...Dunque il Signore degli Assassini offre a quelli un'opportunità. Dovranno, ciascuno ad occhi bendati, indossare a caso un cappello fra i tre bianchi e due neri che sono a mucchio sul tavolo. Si salverà chi saprà con ragionate ragioni indovinare il colore del copricapo che ha scelto. Avviene che i tre, l'uno all'insaputa dell'altro, estraggano tutti, unanimi, il bianco. Sbendati, si guardano. Ora una cosa è chiara: che può salvarsi solo chi veda addosso ai compagni due cappelli neri, e possa quindi per esclusione dedurre il colore del proprio. Ma ognuno dei tre non scopre sulla testa degli altri che bianco, inesorabile bianco..." "E allora?" "I primi due riflettono a lungo, ringraziano. Vengono decappellati, decapitati. Ma il terzo indovina. Sta a te dimmi come e perchè".

In attesa si capire la soluzione, me ne vado a Roma da Alida a ricaricare un po' le batterie. Che sono un po' a terra...

sabato 5 gennaio 2008

L'urlo di Medusa


Stordita da una massiccia dose di rizatriptan per placare la mia emicrania, di nuovo arrogante in questi giorni di ininterrotta ruminazione mentale. In questa archeologia di ricordi, lancio occhiate a ritroso dentro me stessa e osservo con uno sguardo da Medusa gli eventi dell’anno appena concluso, per pietrificarli e immobilizzarli. Non più sfocati e sfuggenti, forse saranno più facilmente sezionabili, forse riusciranno ad imprimersi nella mia mente come impronta digitale indelebile, monito a non commettere gli stessi errori a ripetizione. Oggi cerco di dedicarmi ad una assurda chirurgia di un ieri finalmente svelato nella sua interezza, finalmente leggibile come un puzzle completo, a cui non manca nessun pezzo, in cui tutti i tasselli sono al posto giusto.
Dagli attimi che dissotterro costruisco un Blob immaginario del mio 2007, montando attentamente frantumi di pensieri, avvenimenti, sogni e aspettative. Così scopro di essere stata in bilico tra realtà e simulazione, di essere stata protagonista e spettatrice di una finzione scenica messa in piedi da un regista abilissimo e di aver calato il sipario sulla scena principale. E tra le lacrime, a sipario abbassato, mi lascio ad un applauso liberatorio a chi è riuscito a tessere questa sceneggiatura, tanto bizzarra quanto plausibile, verosimile anche agli occhi più attenti. E mentre batto le mani in segno di elogio, lancio un grido acuto e tagliente, urlo a più non posso il mio addio con una forza che si fa violenza…
Mi rileggo e penso….ma che strano effetto questi triptani….che ho scritto? E’ anche vero che sono da poco riemersa da Hegel…

venerdì 4 gennaio 2008

Di nuovo sulla laguna

Sono di nuovo sulla laguna da qualche ora. Così rientro nel triangolo delle bermuda per la connessione internet che qui, con questa pc card, è davvero impossibile. Sembra un miracolo che possa scrivere, stasera. Sono contenta di essere di nuovo qui, protetta nel mio nido ristoratore. Da domani si comincia di nuovo a studiare con rinnovato impegno, nel tentativo, che so già essere vano, di addolcire in qualche maniera le ustioni a cui ho esposto il mio cuore negli ultimi giorni.
Eppue stasera ho il terrore che questo nido si trasformi in una tana, da cui diventi impossibile uscire, per paura di quello che mi aspetta. Torna, di nuovo, la riflessione sull'uscita, sull'Ausgang, sulla liberazione. Sento che questo 2008 deve essere affrontato con coraggio e pazienza, ma anche con maggiore ironia, voglia di non prendersi sempre troppo sul serio, con la capacità di ritagliare spazi in grado di rinferscarmi un po'. Ma nonostante tutti questi buoni propositi, stasera me ne sto qui, sprofondata sul mio divano e mi sento più asciugata di quel ciottolo che ho raccolto sul lido di Ostia.

mercoledì 2 gennaio 2008

VaLentina


Eccoci immersi in un nuovo anno. Ho dato il benevenuto al 2008 riprendendo a correre, per sputare fuori un po' di rabbia e di paure accumulate in questi strani giorni di festa. Strani davvero questi giorni, almeno per me. Adesso mi sento come se una mano sleale avesse giocato a tombola con la mia vita, mescolando e rimescolando, disponendo a casaccio i fatti e gli appuntamenti sul cartellone della mia esistenza. Poi di nuovo, mettendo a fuoco gli eventi degli ultimi mesi, capisco che ancora una volta sono stata vittima della fretta, dell'approssimazione, del non voler aspettare che ogni cosa si decanti ed assuma un sapore più chiaro, più decifrabile, meno confuso. Allora penso che dovrei solo imparare ad aspettare, evitare di economizzare sul tempo e sulle attese, per evitare queste iperboli che mi lasciano esanime a terra. Questo mio indossare di nuovo le scarpe da tennis è simbolo di un nuovo cammino, placato questa volta e non inquinato dalla paura di non aver il tempo, di essere sempre in ritardo. Ecco la mia malattia congenita: un eterno e continuo timore di non arrivare al traguardo, di aver accumulato continui rinvii, di non riuscire ad assalire il tempo. Così oggi, in quel percorso stupendo di campagna, con gli aironi che si alzavano al mio passaggio, ho rallentato il passo, ascoltato attentamente il mio respiro e i battiti del mio cuore, ripreso fiato nei momenti di stanchezza e aggredito l'ultimo pezzo di asfalto con uno sprint finale. Per adesso però vai piano Babi, vai piano, altrimenti il cuore ti scoppia.

La tartaruga nella foto è "VaLentina" che abbiamo ospitato nel giardino della casa fiorentina di Via Mercati. Oggi la ritrovo come simbolo del mio procedere. La foto, che trovo incantevole, è di Daniela Zullo, carissima amica che ospita i suoi capolavori su Flickr. Consiglio a tutti una visita. Sono contenta di non averla perduta in anni in cui le nostre vite hanno preso strade diverse e di subire ancora il salutare contagio della sua vulcanica testolina.