Guardo tutti i miei libri ammassati sul pavimento e
li percepisco, per un attimo, coma una diga, un argine, un solco con cui
distinguermi. Babbo continua a ironizzare su quanto le mie letture mi abbiano
estraniata, isolata, anestetizzata rispetto al mondo, “rincitrullita”, secondo
il suo perfetto dialetto toscano (poggibonsese, per la precisione). Finalmente
me li porto con me nelle nuove stanze grossetane. Ho la casa messa a soqquadro
da questo trasloco. Ho già smontato la libreria dello studio, inscatolato tutti
i miei saggi ed ho cominciato a buttare le cose inutili, ingiallite e ammuffite
da tutti questi anni. Mentre progetto come arredare la nuova casa, come
sistemare la libreria, dove posizionare il divano (e, soprattutto, quale
divano), mi ritrovo tra le mani centinaia di fotografie: quelle con mia madre,
quelle con Molino e i ragazzi, quelle della laurea e dell’inferno fiorentino.
Ci sono le foto delle feste del Liceo, quelle della Val D’Aosta e del
Trasimeno, ci sono le foto di Torino e di Mario, quelle di Londra. Prendo una
scatola e le ammasso là dentro, come a volerci rinchiudere gli anni. Lì c’è la
Barbara senza rughe, c’è tutta la storia che l’ha portata fino qui, a questo
bivio, a questo traguardo.
Ho vissuto questo trasloco nello stesso modo con
cui percepisco lo strano strascico di questo anno che si è spento. Una
diga, come lo sono i miei libri. Penso a quella di Orbetello, che separa le due
parti della laguna e che unisce la città al Monte Argentario. Così i primi
giorni di questo 2013, vissuti come una rottura, uno squarcio, un abbandono e,
nello stesso tempo, un ancoraggio e un ormeggio alle rive del mio ieri.
Tenacemente proiettata verso un domani di cui a
stento percepisco i contorni, nello stesso tempo mi aggrappo a questa inattesa
sintonia con Molino che mi dà il senso, la pienezza, la ricchezza dei miei
anni. Il suo affettuoso sostegno alle mie scelte degli ultimi mesi mi ristora
da un’arsura emotiva dovuta, per anni, a una inconfessabile paura del domani e
mi ripaga di tutti i miei distacchi. Gli guardo la barba imbiancata sul viso e
penso a quando le nostre vite di adolescenti si sono incontrate, penso ai
nostri anni di vicinanza e lontananza, a come il passato e il presente si
rincorrano mescolandosi in una sintonia a tratti perfetta, a tratti stridente e
amara; penso al senso di quel futuro sul punto di avverarsi e a quella
pacatezza di fronte al percepire l’ormai avvenuto strappo tra le dolci fantasie
dei bambini e la dura realtà degli adulti. E’ stato bello traghettare in questo
nuovo anno e in questa nuova città con un volto fraterno che ha accompagnato i
miei passi e sorretto i miei inciampi, scoprendo le infinite sfumature dell’amore,
sgranando il rosario dei nostri ieri e tessendo la trama dei nostri oggi.
“Nel momento in cui mi accorgo che l’amore non è
quello che credo io, sono con il nuovo amore, riparto con lui, non dico che l’altro,
l’amore lasciato, era sbagliato, dico che è morto” (Marguerite Duras, “La vita
materiale”)