domenica 16 dicembre 2012

Il rumore delle rinascite


 
Ultima settimana sulla laguna. Per le feste di Natale traghetto di nuovo nelle mie stanze in campagna e nel frattempo organizzo il trasloco nella nuova casa e divento grossetana. Una nuova città, un nuovo perimetro da abitare, un nuovo inizio su cui concentrarmi. Questa novità mi concede una pausa da quel malessere che mi si è incrostato addosso, sedimentandosi negli anni, dalla fuga fiorentina, al distacco londinese, al fallimento di un amore e al naufragio di un nuovo progetto. Mi sembra di respirare di nuovo, dopo essere stata per anni soffocata alla ricerca di non so che cosa, dopo essermi sentita apolide ovunque mi trovassi, dopo aver sperimentato il terribile iato tra i miei desideri e le mie reali possibilità. Ho combattuto sempre, per anni, con un’assenza, ho riconosciuto solo mancanze, ho calcolato solo sottrazioni. Io che non so contare, come mia madre. Ho sempre posto l’oggi sotto la dissacrante e ingiusta lente dei miei desideri, delle mie aspettative, sminuendolo fino a farmi male, fino a sentirmi sempre e solo in apnea, alla ricerca di un sospiro ristoratore. Avrei voluto che Follonica si trasformasse per magia, che “quel rivolo di merda detto Gora” diventasse il Tamigi,  la piazza del Mercato Coperto Covent Garden e la pineta piena di merde di cani Regent’s Park, quel polmone verde dietro a Camden dove mi perdevo sempre a correre. E così, sperando in una impossibile metamorfosi, non sono riuscita a godermi le corse lungo la spiaggia, il sole quasi perenne in ogni stagione dell’anno, gli odori della mia campagna. Dopo anni in uno stato di anoressia emotiva, oggi mi sento sazia. Qui, adesso, in questo posto, in questo lavoro. Con questa inedita franchezza verso me stessa.
La nuova casa è piccola, ma molto accogliente. L’ho sentita mia appena l’ho vista. La casa di mia madre in campagna, perché di questo si tratta, ospiterà una persona che ne avrà cura come ne avrebbe avuta lei. E anche questa scelta, inaspettata ma decisa, mi dà un senso di leggerezza e di liberazione che aspettavo da anni. Oggi, mentre  guidavo verso Orbetello, lo sguardo mi si è fermato come sempre sulla sagoma di quell’ospedale che ci ha ospitato in quei terribili giorni e mi è venuto da urlare a un cielo per me da sempre muto: “mamma, ce l’ho fatta”. E mi è sembrato il regalo più bello che avrei potuto fare, non solo a lei, ma soprattutto a me stessa.

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