giovedì 28 febbraio 2008

I silenzi di febbraio

Sta per finire questo febbraio pieno di silenzi. Ieri ha telefonato Cristina per sapere se fosse accaduto qualcosa di grave, visto che non trovava più parole con assidua frequenza. Le ho spiegato che ogni cosa è al suo posto, ossia ogni cosa è incasinata come al solito, ma che tutto sta andando bene. Non ho più la connessione con la Tim, vista la difficoltà a connettermi e l'inutile spreco di denaro e quindi, potendo utilizzare solo i computer della scuola, non sempre ho la possibilità di godere di un po' di calma e, soprattutto, di solitudine. Eppure avrei davvero voluto scrivere: del rapporto con i miei ragazzi, della mia laguna, delle mie corse e di questa campagna elettorale che mi stupisce piacevolmente. Adesso poi sono alle prese con la vecchiaia incalzante di Bice che, dopo un breve ricovero in clinica veterinaria, è ancora pià affettuosa di prima e riscalda le mie giornate sui libri.
Il Consiglio di classe ha deciso e sarò commissaria interna agli esami di maturità, ma non sono affatto contenta di accompagnare quella classe difficile fino alla fine e mi stupisco di come, da parte loro, ci sia un rifiuto ad ogni minimo sforzo. Eppure il mio lavoro vuol dire anche questo, un confronto serrato e continuo anche con chi si rifiuta di ascoltare. In attesa che qualcosa si smuova e che l'ansia da esame li scuota un po' tutti, mi sono comprata "Diario di scuola" di Pennac. Chissà che non arrivi qualche illuminazione. Adesso c'è una mamma che vuole parlare con me: a parte il fatto che, vista la loro assenza, è bene non farsi scappare questa occasione, non potrebbero rispettare gli orari di ricevimento? Un caro e affettuoso saluto a tutti, spero di tornare presto.

venerdì 15 febbraio 2008

Emicranie

Sono giorni che cerco lo spazio mentale per aggiornare queste pagine virtuali, ma non sono riuscita a racimolare neppure qualche minuto di tregua da questa terribile emicrania che mi affligge da più di una settimana. Sono di nuovo a terra, imbottita di farmaci, capace solo di trascinarmi a scuola la mattina, per poi sprofondare sotto le coperte e restare in letargo fino alla mattina dopo. L'idea migliore sarebbe stata chiamare il medico e concedermi qualche giorno di riposo a casa, evitando anche quelle poche ore mattutine di lavoro. Inutile dire che non riesco a studiare, a leggere, tanto meno a scrivere, inutile dire che, perfezionista come sono per natura, in questi ultimi giorni non sono affatto soddisfatta del mio modo di insegnare, costretta ad improvvisare sui classici canovacci delle mie conoscenze.
Peccato che non sia riuscita a scrivere, sarebbero state tante le cose su cui soffermare le mie riflessioni. Le mie incertezze e i miei entusiasmi a scuola, le novità di questa campagna elettorale, la paura, tutta femminile, di affrontare questa nuova crociata contro la 194. Spero di ritrovare presto il filo di Arianna per uscire da questo labirinto e riprendere presto la trama delle mie riflessioni e dei miei racconti. A volte penso a quanti siano gli anni di convivenza con questa "malattia", penso ai controlli, ai medici, alle terapie mai efficaci. Adesso è il tempo del Laroxil, cinque gocce prima di dormire, ma non serve a placare la sua arroganza, serve solo a darmi un senso di spossatezza che mi fa sentire fiacca per tutto il giorno seguente. Così aspetto che la dieta di nuovo appena iniziata mi regali un po' di calma e nell'attesa corro a Roma da Alida nel tentativo di non pensarci per un po', di svagarmi da questa amarezza. E sono felice che sia Alida a regalarmi un po' di tregua, sono felice di non averla perduta nel corso degli anni, nei nostri giri tortuosi alla ricerca di noi, in mezzo a tutte quelle città che abbiamo abitato. E sono stupita di come riesca a colorare di sè ogni spazio che abita, anche il più concentrato, come questa scrivania nell'ufficio della casa editrice dove lavora, che mi sta ospitando per qualche minuto appena arrivata nella capitale. Stasera andiamo a teatro e poi a ballare...speriamo 'm bene, si dice in Toscana.

mercoledì 6 febbraio 2008

Un gatto che si morde la coda

Torno a scherzare con Alida sulle mostruosità linguistiche che proprio non ci vanno giù. Torno a pensarci oggi, dopo aver costretto i miei studenti ad una lezione a scuola sul senso del linguaggio e i suoi limiti. “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”: ripeto spesso questa frase di Wittgenstein ai miei ragazzi per convincerli a non richiudersi nelle strettoie del dialetto, del linguaggio comune, delle sciattezze linguistiche a cui tutti siamo ingenuamente esposti. Mi guardano con quegli occhi spauriti, allora passo a Orwell e alla “neolingua” di “1984” e, dopo aver constatato che anche così non riesco a risvegliare le loro menti addormentate della prima ora, concludo con l’ultima arma, un Don Milani appena sdoganato in quell’ibrida cultura del Partito Democratico. E allora racconto loro come il sacerdote scomodo invitasse i suoi ragazzi di Barbiana ad imparare, ad arricchire i propri vocabolari, perché “una parola che non sapete oggi è un calcio in culo che prenderete domani”. Capiscono, il “calcio in culo” prima li sveglia e, poi, dopo poco, li convince.
Il problema però è che oggi i nostri vocabolari, anziché assottigliarsi come previsto nella distopia orwelliana, si dilatano a dismisura, andando ad accogliere espressioni, formule, modi di dire a dir poco insopportabili. Ad usarle, poi, non sono solo quindicenni di un liceo di provincia (a cui molte cose possono essere perdonate), ma intellettuali, giornalisti, artisti. Così io e Alida ci siamo messe ad elencare quelle mostruosità espressive da cui tutti sembriamo contagiati. In cima alla classifica sta quell’odioso “piuttosto che”, usato in funzione disgiuntiva, che oggi sembra andare tanto di moda. “Quest’estate andrò in Corsica piuttosto che in Croazia”, dice qualcuno. Ok, allora io non so più parlare la mia lingua e il mio italiano è invecchiato “piuttosto che” impreciso, se io proprio non riesco ad usare “piuttosto che” in questo modo. Alida mi fa notare che martedì scorso anche Anna Finocchiaro lo ha usato, ma a lei perdoniamo tutto: “certo se alle primarie si fosse candidata lei, piuttosto che Veltroni, l’avremmo votata”…e così è corretto. Al secondo posto della top ten sta l’insuperabile “tra virgolette”, ovviamente accompagnato da indice e medio che si flettono a intermittenza, subito seguita da “a 360 gradi” e “a tutto tondo” (“ti offre una precisione a trecentosessanta gradi”, “una visione a tutto tondo”, “foto a tutto tondo”, “vi presentiamo adesso una intervista a tutto tondo con”….aiuto!!!!!).
Visto che viviamo una vigilia affannata di campagna elettorale, che dire di quel “ha deciso di scendere in campo” che, nel 1994, marcò la decisione del Berlusca di impegnarsi in politica?
Ma presto io e Aliduzza decidiamo di inoltrarci nella giungla intricata del “linguaggio informatico” e cerchiamo di ricordare tutte quelle odiose formule così inflazionate nel linguaggio di oggi che derivano dalla nostra confidenza con il mondo dei computer. Iniziamo così un’altra classifica, che continuiamo ad aggiornare, essendo “una strada senza sfondo”: si inizia con l’odioso “di default”…ma che vuol dire? Ma si può usare un’espressione più brutta? “Stasera il vino è di default”, poi si continua con “abbiamo molti link in comune”, “ci interfacciamo bene”, per poi concludere (scoperta di questi giorni) con “sono in loop”. “Sono in loop”?????????? Giovanna dice che il significato è sentirsi in uno stato d’animo bloccato, essere in una situazione da cui non riesco ad uscire e…visto che non capivo bene e vista la mia ignoranza in materia, ha pensato bene di farmelo capire dicendo: “insomma Babi, è un gatto che si morde la coda!”. Nooooo, vi prego noooo, anche “il gatto che si morde la coda" nooooo! Voi che dite?

domenica 3 febbraio 2008

Supplica a mia madre

Riemergo da un difficile fine settimana ed aspetto con ansia l’arrivo di domani, per perdermi tra le chiassose voci dei miei studenti che mi stordiranno con i racconti della settimana bianca da cui sono tornati proprio stamani. Ho bisogno di loro adesso, della loro giovinezza e del loro entusiasmo, ho bisogno del loro calore per allontanare da me, almeno per qualche ora, gli angosciati pensieri sulla malattia di mia madre, pensieri che fuggo ma che riescono sempre a raggiungermi, a bloccarmi nella strada senza sfondo delle mie paure ed a schiaffeggiarmi con la più inaudita delle violenze. Mi sono concessa ancora due notti con lei, sfrattando babbo nel lettino che ha cullato i miei sogni di bambina e di adolescente, e ho cercato nel contatto dei corpi di ricomporre una simbiosi incrinata alla nascita, ma mai completamente frantumata da quel momento fisico di rottura e di separatezza. Ma il suo corpo stanotte non era il suo e ci ha obbligati tutti ad un sonno spezzettato, alla ricerca di cogliere ogni minima richiesta di sostegno, di alleviare la solitudine dei suoi affanni. Giovanna chiama in continuazione, sapendomi qua sulla laguna a battagliare con le mie paure, ed io mi perdo in lei, nella sorellanza che ci unisce, approfittando della sua vicinanza per frantumare le mie inquietudini. Cerco di sbriciolare le paure e di condividere i bocconi amari del mio dolore, nell’irrazionale tentativo di alleviarne le ustioni e di renderlo più tollerabile. Ma tutto questo è più grande di ognuno di noi e, per quanto mi sforzi, non riesco a buttarne giù neppure un frammento. Sento, al contrario, che qualcosa dentro si spezza, sento che questo distacco, quando avverrà, sarà la cosa più grande di tutta una vita. Scusate, so che le parole di stasera sono pesanti come il piombo, ma anche questo è un modo per alleggerirmi…

E' difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame
d'amore, dell'amore di corpi senza anima.
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…

Pier Paolo Pasolini, Supplica a mia madre.